martedì 21 gennaio 2025

Fabriano Fabbri. La voce del diavolo

Presentazione del libro:
Mercoledì 22 gennaio, ore 18.30
SPAZIO maria calderara, 

Via Lazzaretto 15, Milano

 


Mercoledì 22 gennaio 2025, presso lo SPAZIO maria calderara di Milano (Via Lazzaretto, 15), si terrà la presentazione del libro di Fabriano Fabbri, "La voce del diavolo. L'arte contemporanea e la moda" (Giulio Einaudi editore, 2024).
 
L'autore dialogherà con i giornalisti Antonio Mancinelli e Virginia Ricci.
 
L'evento è aperto al pubblico. La partecipazione è gratuita.


Per informazioni: www.mariacalderara.it.

 
Nel lungo arco della contemporaneità, l'arte del vestire ha sedotto il corpo per liberarlo da disagi e inibizioni, lo ha accarezzato per divorarne le energie, lo ha spinto oltre i suoi limiti per urlare al mondo «la voce del diavolo», come scriveva William Blake: lo ha protetto con cura per reciderlo dai lacci della morale e del perbenismo. Fabriano Fabbri rilegge la storia dell'arte dalla fine del Settecento agli anni Duemila usando come metronomo le funamboliche evoluzioni del guardaroba di ieri e di oggi, fra i tumulti della tecnologia e le tempeste della rivoluzione sessuale.
 
Fabriano Fabbri insegna Stili e arti del contemporaneo, Forme della moda contemporanea e Contemporary fashion all'Università di Bologna. È autore di numerose monografie su arte e moda, tra cui "Sesso arte rock'n'roll", Atlante, Bologna 2006; "Lo zen e il manga", Bruno Mondadori, Milano 2009; "Boris Bidjan Saberi. 11", Atlante, Bologna 2013; "L'orizzonte degli eventi", Atlante, Bologna 2013; "Angelo Marani", Atlante, Bologna 2015. Per Einaudi ha pubblicato "La moda contemporanea. Arte e stile da Worth agli anni Cinquanta" (2019) e "La moda contemporanea. Arte e stile dagli anni Sessanta alle ultime tendenze" (2021).

 

COME DA COMUNICAZIONE RICEVUTA

San Giorgio a Cremano: al via il restauro delle statue di Minerva, Cerere, Bacco, Apollo e Flora all’interno del parco di Villa Bruno, dopo il via libera della Soprintendenza

Le opere risalgono alla fine dell’800 e sono contenute nel catalogo generale dei Beni Culturali

CECERE


Hanno preso il via le attività di restauro delle statue storiche di Minerva, Cerere, Bacco, Apollo e Flora, collocate all’interno del parco di Villa Bruno.  Con il via libera della Soprintendenza, le opere - risalenti alla fine dell’800-inizi del ‘900, saranno oggetto di interventi accurati effettuati, sia nelle parti mancanti che in quelle esistenti, rovinate dal tempo e dall’usura.

Le statue rappresentano parte del patrimonio artistico della città e sono presenti anche all’interno del catalogo generale dei Beni Culturali, testimoniando un periodo di grande fermento storico e creativo e contribuendo a delineare l'identità della comunità sangiorgese. Sono di circa due metri di altezza e sono realizzate in materiale composito armato con una struttura metallica all’interno.


Minerva e Cerere sono collocate nei pressi della biblioteca; Apollo e Bacco nell’Arena Taranto e Flora, all’interno dell’edicola nella parte finale del parco.

Il progetto di restauro, realizzato da Sindaco Giorgio Zinno, d'accordo con il vicesindaco Pietro de Martino e l'assessore al Patrimonio Carlo Sarno, terminerà entro giugno e prevede sia la ricostruzione delle parti mancanti che il consolidamento di quelle esistenti, con l’obiettivo di riportare le opere al loro antico splendore senza alterarne l’autenticità.


BACCO 

 

In questa prima fase sono state recintate le opere per effettuare interventi con sostanze biocide, al fine di eliminare muffe e vegetazioni che si sono formate nel corso del tempo. Poi si provvederà al restauro vero e proprio che si concluderà anche con l’apposizione di uno specifico prodotto “antigraffiti”, contro gli atti di vandalismo come quelli compiuti in passato proprio con spray colorati, sulla statua di Flora nell’edicola, in fondo al parco.

“Voglio sottolineare, a tal proposito – ha detto il Sindaco Zinno - come il restauro delle statue di Villa Bruno non sia solo un atto di tutela del nostro patrimonio, ma un monito a preservare le radici della nostra storia e della nostra identità.  Oltre al valore artistico, queste opere sono simboli di memoria collettiva e orgoglio cittadino. Il loro restauro deve essere un richiamo per tutti a custodire e rispettare questi beni, riconoscendoli come segno di appartenenza e risorse per le future generazioni.

MINERVA

 

Anche questo impegno da parte dell’amministrazione rientra in una ampia strategia di valorizzazione del patrimonio culturale della città che prosegue passo dopo passo, rafforzando sempre di più il ponte tra passato, presente e futuro.

 

COME DA COMUNICAZIONE RICEVUTA

Valeria Magli - MORBID

 Settore Musei Civici Bologna | MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna

Valeria Magli
MORBID
A cura di Caterina Molteni






29 gennaio - 11 maggio 2025
MAMbo - Museo d'Arte Moderna di Bologna | Project Room
Via Don Giovanni Minzoni 14, Bologna    
www.museibologna.it/mambo


Inaugurazione
Martedì 28 gennaio 2025 h 18.00 - 20.00

 
Dal 29 gennaio all’11 maggio 2025 il MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna del Settore Musei Civici Bologna presenta MORBID, una mostra di Valeria Magli, curata da Caterina Molteni, che rientra nel programma istituzionale di ART CITY Bologna 2025 realizzato in occasione di Arte Fiera.

MORBID è l’aggettivo scelto da Valeria Magli come titolo di un suo lavoro per descrivere la figura femminile. “Morbido” per assonanza in italiano, “morboso” per significato in traduzione dal tedesco, il termine cattura le caratteristiche contraddittorie attribuite alla donna nel corso dei secoli, in contrapposizione alla figura integra e “rigida” dell’uomo (associato, con ironia, dall’autrice a una banana).

Prendendo spunto da questa immagine sinuosa e delicata, ma al tempo stesso capace di generare forze maniacali e ossessive, MORBID esplora la ricerca artistica della danzatrice e coreografa Valeria Magli (Bologna, 1952. Vive e lavora a Milano), concentrando l’attenzione sul lavoro di ridefinizione della donna e del femminile promosso dall’autrice nel corso della sua carriera e restituito in mostra in un percorso cronologico e tematico dagli anni Settanta ai primi anni Duemila.

Centrale nella ricerca di Valeria Magli è la riflessione sulla femminilità nelle sue personificazioni. La signorina Richmond, Le Milleuna, Banana morbid, Banana lumière e Pupilla sono alcune delle protagoniste che si raccontano in mostra grazie a materiali d’archivio, costumi e oggetti di scena, fotografie e documentazioni video dell’epoca.

Attraverso una grammatica corporea che fa proprie le arti della danza classica, del tip-tap e della ginnastica artistica, Magli delinea una danza anti-spettacolare ma al tempo stesso seducente e ironica. Mentre oltreoceano danzatori e danzatrici sfidano la società dello spettacolo portando il gesto quotidiano sul palco in una ricerca minimale del movimento, Magli sperimenta i linguaggi dell’intrattenimento portandoli al limite. I linguaggi del cabaret, della clownerie, della music-hall e del tip tap, vengono reinventati come strumenti critici, capaci di interrogare e sovvertire le convenzioni della rappresentazione.

Nella sua polisemia il titolo MORBID rimanda allo stesso tempo al dialogo costante di Magli con la poesia e le arti visive. Dalla fine degli anni Settanta, l’autrice intesse relazioni con figure prominenti della neoavanguardia letteraria, come Arrigo Lora Totino e Nanni Balestrini, rispondendo nel mondo della danza a quella visione della parola che si impone come fenomeno aperto e fisico. Di fronte a una visione “totale” della poesia, Magli opera un passaggio ulteriore, svincolando la parola dalla pagina scritta e mettendo in scena un dialogo propulsivo tra voce, corpo e movimento.

L’azione “liberatoria” che la nuova poesia opera nei confronti di una tradizione letteraria ed estetica figlia dell’idealismo crociano e di categorie morali e politiche stagnanti, viene assunta dall’autrice in chiave femminista creando un linguaggio che libera il corpo femminile e si oppone all’immaginario di donna-oggetto perpetuato dai media. Nella produzione dell’autrice, il corpo si rende “autonomo dalla parola (come la donna dall’uomo) per poter interagire con essa in un rapporto che non sia quello ormai logoro che conosciamo” (V. Magli, 1977).

La poesia ballerina, anche titolo della prima rassegna antologica del 1981, sintetizza la sua ricerca, evidenziando da un lato la coesistenza di linguaggi e la sperimentazione intermediale tipiche delle arti e della danza degli anni Settanta, dall’altro il percorso unico dell’autrice nel rinnovare il legame tra danza e poesia.

La storia artistica di Valeria Magli è costellata di importanti collaborazioni con poeti e poete della neoavanguardia letteraria italiana, musicisti come John Cage, Walter Marchetti e Demetrio Stratos, artisti come Gianfranco Baruchello, Piero Fogliati e Gianni Toti, l’artista e stilista Cinzia Ruggeri, il regista Lorenzo Vitalone, il filosofo Pierre Klossowski, il coreografo Merce Cunningham e il teorico del mimo Étienne Decroux. Le sue opere sono state presentate presso Galleria d’Arte Moderna di Bologna, Musée Matisse, Nizza, Centre Georges Pompidou, Parigi, Hunter College Theater, New York, Cìrculo des Bellas Artes, Madrid, Théatre du Rond-Point, Parigi, Piccolo Teatro, Milano, Festival dei Due Mondi, Spoleto, Esposizione internazionale d'arte di Venezia.

Nel 2003 esce per Charta la monografia Valeria Magli, mentre nel 2021 Valeria Magli o la poesia ballerina, saggio di Silvia Garzarella, edizioni Mimesis.

MORBID è frutto del progetto di ricerca di Caterina Molteni, From Poetry to Performance and Vice Versa: When Body and Language Become Political. A comparative study of Valeria Magli, Yvonne Rainer, Cecilia Vicuña sostenuto della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della cultura nell’ambito del programma Italian Council (13 edizione, 2024).

SCHEDA TECNICA

Mostra
MORBID

Di
Valeria Magli

A cura di
Caterina Molteni

Promossa da
MAMbo  - Museo d’Arte Moderna di Bologna | Settore Musei Civici Bologna

Sede
MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna
Via Giovanni Don Minzoni 14, Bologna

Periodo di apertura
29 gennaio - 11 maggio 2025

Inaugurazione
Martedì 28 gennaio 2025 h 18.00 - 20.00

Orari di apertura
Martedì e mercoledì h 14.00 - 19.00
Giovedì h 14.00 - 20.00
Venerdì, sabato, domenica e festivi h 10.00 - 19.00
Chiuso lunedì non festivi

Orari di apertura durante ART CITY Bologna 2025
Giovedì 6 febbraio 2025 h 10.00 - 20.00
Venerdì 7 febbraio 2025 h 10.00 - 20.00
Sabato 8 febbraio 2025 h 10.00 - 23.00
Domenica 9 febbraio 2025 h 10.00 - 20.00

Ingresso
Intero € 6 | ridotto € 4 | possessori Card Cultura € 4

Ingresso durante ART CITY Bologna (dal 6 al 9 febbraio 2025)
Gratuito

COME DA COMUNICAZIONE RICEVUTA

Marco De Sanctis “Le piangenti” - A cura di Platea

Platea | Palazzo Galeano
presenta
 
Marco De Sanctis
“Le piangenti”
A cura di Platea
25 gennaio  - 16 marzo 2025

Marco De Sanctis, La Pleureuse (The Weeper), bronze sculpture with natural green copper patina caused by weather agents (rain), 170 (on basement) x 30 x 25 evolving sculpture, 1/1. Courtesy of the artist.

 
Sabato 25 gennaio 2025
Ore 19.00: Opening pubblico “Le piangenti”
Palazzo Galeano, Corso Umberto I, 50
Ore 20.00: “Cheung” performance musicale di American Ghost Bird
in collaborazione con Associazione Argine
Cortile Biblioteca Laudense (Caffè Letterario), via Fanfulla, 2

 
 
“Tutto il mio folle amore lo soffia il cielo”
Pier Paolo Pasolini
 
Platea | Palazzo Galeano presenta da sabato 25 gennaio a domenica 16 marzo 2025 “Le piangenti”, personale di Marco De Sanctis, che inaugura la nuova programmazione espositiva pensata per il 2025.
La mostra si sviluppa come un duplice intervento che coinvolge la vetrina di Palazzo Galeano in Corso Umberto, dove è esposta una nuova produzione su carta dedicata alle nuvole e il cortile della Biblioteca Laudense in via Fanfulla 2 che ospita una scultura che, come evoca il titolo, è tratta dalla serie intitolata “Les Pleureuses”. Per festeggiare insieme alla comunità lodigiana la ripresa delle attività, in occasione dell’opening pubblico della mostra sabato 25 gennaio 2025, a partire dalle ore 20.00, Associazione Argine presenta “Cheung” performance musicale del sound artist American Ghost Bird. 

“Le Piangenti”, termine che declina l’intera serie al femminile anche se non identifica il genere esteriore dei soggetti, raffigurano calchi di frammenti di sculture classiche, modificati con l’innesto di elementi naturali all’altezza della fronte. Attraverso l’apposizione di ossidi e l’esposizione alla pioggia, questi inserimenti generano reazioni chimiche dando così corpo a delle colature che rievocano il pianto. Un pianto liberatorio che non rimanda alla debolezza quanto al lamento funebre, richiamando alla memoria le antiche figure delle prefiche che avevano un ruolo fondamentale nell’elaborazione collettiva del lutto, assumendo comportamenti codificati e rituali.
 
La scultura “La Pleureuse (The Sweeper)” presentata presso il cortile della Biblioteca Laudense è il risultato della fusione in bronzo di un busto che riprende il modello classico del Laocoonte, sulla cui fronte sono state impiantate due grandi foglie d’agave. La pioggia, convogliata verso le orbite oculari, attraverso la reazione di ossidi metallici, ha generato delle lacrime verderame enfatizzando la carica espressiva dell’immagine.
Anche le opere su carta sono soggette a una reazione chimica. Il nuovo lavoro dal titolo che occupa la vetrina è realizzato su di un supporto preparato con sali (nitrati, solfato di rame e sali minerari mescolati a polvere di bronzo e ossidi di rame) che, posti a contatto con la pioggia, creano delle forme risultate dalle colature. Come se l’artista avesse commissionato alle precipitazioni lodigiane il disegno delle nuvole.
 
L'approccio plastico di Marco De Sanctis affronta contemporaneamente lo statuto dell'immagine, la nozione di tempo e l'atto della creazione. Il tempo è una nozione cruciale per comprendere il lavoro dell'artista e la sua ultima produzione. Diventa un concetto da rivedere che funziona come entità quantificabile necessaria per il processo creativo e per l'esperienza intima richiesta dalle opere. I medium sono plurali e interrogano tanto l'oggetto quanto l'ambiente che lo ospita, rendendo l'immagine/oggetto costruito non più aneddotico, ma essenziale per la comprensione dell'opera. Il messaggio non è mai politico, è semplicemente la testimonianza di un pensiero profondo, l'immagine visibile di una verità invisibile, uno spunto di riflessione per lo spettatore che si riappropria dell'atto di creazione perpetuandolo.
 
La mostra si inserisce nell’ambito delle progettualità dedicate all’indagine sulla rinegoziazione dei concetti di natura e artificio e di natura e cultura, legandola al paesaggio lodigiano, i cui elementi naturali diventano co-autori del lavoro artistico. Una riflessione avviata nel 2022 con l’installazione di Alberonero, al secolo Luca Boffi, che ricreava una nebbia artificiale per comporre un paesaggio mutevole all’interno della vetrina, fino all’offuscamento totale dello sguardo. L’anno successivo, la scultura di Fabio Roncato utilizzava la forza della corrente dell’Adda per comporre una scultura, tramite lo sversamento di cera fusa nell’acqua, che cattura la potenza del fiume. Nel 2024, Mariateresa Sartori ha fatto ricorso al vento che soffia sulle rive dell’Adda per “scrivere” il suo lavoro. Marco De Sanctis utilizza invece le precipitazioni atmosferiche come matrice morfogenetica e alchemica per il suo lavoro.
 
Un ulteriore passo nell’indagine che Platea | Palazzo Galeano sta svolgendo sull’interrelazione tra paesaggio, creazione artistica e specificità locale, in questo rientra anche la collaborazione con le più interessanti realtà sviluppatesi sul territorio come Associazione Argine che ha proposto “Cheung” di American Ghost Bird. La performance musicale esplora le potenzialità del suono e la sua profondità, celebrandolo con un set di composizione dal vivo all’interno di uno spazio estremamente suggestivo, come il cortile dello storico Palazzo dei Filippini, nel cuore di Lodi.
 
Marco De Sanctis desidera ringraziare Platea | Palazzo Galeano per il supporto; Max Tomasinelli, fondatore di Doxdora Art Residency, Torino, per il sostegno nella produzione dell’opera “La Pleureuse (The Sweeper)”; Matteo Cavalleri, presidente dell’Associazione Argine e tutto lo staff.

 

COME DA COMUNICAZIONE RICEVUTA

 

ART CITY Bologna 2025 - artista norvegese Per Barclay

 ART CITY Bologna 2025

Le mostre promosse dai Musei Nazionali di Bologna Direzione Regionale Musei Nazionali dell’Emilia Romagna

San Barbaziano prima dei lavori di restauro

 

L’ex Chiesa di San Barbaziano - da poco restaurata e ora nuovamente aperta al pubblico - dal 31 gennaio al 9 febbraio ospita uno spettacolare intervento installativo dell’artista norvegese Per Barclay, mentre l’ex Chiesa di San Mattia, dal 6 al 16 febbraio accoglie Harmonic Room, una personale di Alessandro Sciaraffa

 

In occasione di ART CITY Bologna 2025 e Arte Fiera, i Musei Nazionali di Bologna – Direzione Regionale Musei Nazionali Emilia-Romagna presentano due mostre eccezionali che coinvolgono un artista internazionalmente riconosciuto, Per Barclay (Oslo, 1955), e un artista italiano il cui lavoro esplora il mondo della sonorità: Alessandro Sciaraffa (Torino, 1976). 

A cura di Denise Tamborrino e Patrizia Cirino, la mostra che vede coinvolto Per Barclay in una suggestiva rielaborazione dell’opera La Strage degli Innocenti di Guido Reni aprirà dal 31 gennaio al 9 febbraio negli spazi espositivi dell’ex Chiesa di San Barbaziano - i cui lavori di consolidamento e restauro sono stati appena terminati e che proprio in questa speciale circostanza verrà presentata al pubblico (inaugurazione: 31 gennaio ore 15:00). La personale di Alessandro Sciaraffa, Harmonic Room, sempre a cura di Patrizia Cirino e Denise Tamborrino, realizzata in collaborazione con MAMbo –Museo d’Arte Moderna di Bologna, si terrà invece dal 6 al 16 febbraio negli spazi dell’ex Chiesa di San Mattia, luogo perfetto per accogliere la riflessione sul suono che contraddistingue da sempre la ricerca dell’artista (inaugurazione: 6 febbraio ore 16:00).

 

Per Barclay all’ex Chiesa di San Barbaziano


Per Barclay reinterpreta con un intervento installativo il celebre dipinto La Strage degli Innocenti di Guido Reni all’interno dell’ex Chiesa di San Barbaziano, al fine di attivare una esperienza di fruizione complessa di natura sociale, cognitiva ed emozionale e spunti di riflessione sull’età del disorientamento contemporaneo, sulla vulnerabilità, le contraddizioni e i conflitti dei nostri tempi complessi e travagliati.

 
In concomitanza, l’ex Chiesa di San Barbaziano sarà riaperta al pubblico, iniziativa che giunge al termine di un lungo cantiere di restauro, a cura di Studio Poggioli, che ne ha consolidato l’aspetto architettonico nella sua peculiarità di rovina urbana. In occasione dell’apertura speciale di Barclay sarà quindi possibile visitare lo spazio prima della sua rifunzionalizzazione ad opera di AICS Bologna.


Il lavoro di Per Barclay si situa tra fotografia, scultura e installazione ed ha l’indiscutibile potere di non lasciare il suo pubblico indifferente. L’artista, come un direttore di scena, lavora nello spazio reale e lo trasforma in un luogo fittizio, raccontandone un’altra storia. Lo spazio architettonico diventa scena, secondo la sua interpretazione, per creare l’opera.
 

Lo spazio dell’ex Chiesa di San Barbaziano diventa così uno spazio di mediazione attiva, presidio di pluralità di sguardi che sollecitano un dialogo critico sul futuro, un luogo che invita il pubblico a dare “tempo al tempo”, un tempo in cui memorie, desideri e sensibilità personali possono emergere e intrecciarsi con le molteplici dimensioni comunicative. 

La mostra di Per Barclay è realizzata in collaborazione con AICS Bologna, Otto Gallery, Bologna e Galleria Giorgio Persano, Torino. Vista l’estrema fragilità dell’opera si potrà visitare solo previa prenotazione su Eventbrite a questo link (ammesse max 45 persone per turno).


Per Barclay è nato a Oslo nel 1955, vive e lavora tra Torino e Oslo. Ha studiato Storia dell’Arte all’Università di Bergen, completando poi la sua formazione all’Istituto Statale d’Arte di Firenze, all’Accademia di Belle Arti di Bologna ed infine all’Accademia di Belle Arti di Roma. Nel 1990 partecipato alla XLIV Biennale di Venezia esponendo al Padiglione dei Paesi Nordici. Le sue opere sono state esposte in prestigiosi musei di tutto il mondo.

 
L’ex Chiesa di San Barbaziano è un bene appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato in consegna alla Direzione Regionale Musei Emilia-Romagna, istituto periferico del Ministero della Cultura. In occasione dell’anteprima stampa della mostra di Per Barclay (30 gennaio, ore 10.30), sarà presentato anche il progetto di restauro appena ultimato che ha coinvolto l’aspetto esterno della ex chiesa e la sostituzione degli infissi.

 
Sabato 8 e domenica 9 febbraio, in occasione del weekend di ART CITY, l’ex Chiesa di San Barbaziano ospiterà anche la performance site specific Soglia, a cura di SCS Ekodanza. Un lavoro che immagina il corpo come un limen (soglia) che al contempo distingue e vincola, che congiunge le molteplici determinazioni in un processo dinamico. L’ingresso è solo su prenotazione tramite Eventbrite a questo link (ammesse max 45 persone per turno: 8 febbraio > 19:30 / 20:30 / 21:30; 9 febbraio > 12.00 / 13.00).

 

 

Alessandro Sciaraffa all’ex chiesa di San Mattia

 
Dal 6 al 16 febbraio l’Ex Chiesa di San Mattia, uno dei luoghi della cultura dei Musei Nazionali di Bologna afferente al Ministero della Cultura, ospita una mostra di Alessandro Sciaraffa, artista il cui lavoro indaga le potenzialità del suono in rapporto allo spazio, alla natura, e alla nostra percezione, emotiva e sensoriale, grazie all’ausilio della tecnologia. La mostra è realizzata in collaborazione con MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna e con Galleria Giorgio Persano, Torino e Galleria Mazzoli, Modena.

 

L’artista trasforma la storica ex Chiesa di San Mattia in una Harmonic Room, uno spazio immersivo dove suono, luce e vibrazioni si intrecciano per amplificare la percezione del pubblico. L’evento mira a creare un dialogo tra tradizione e innovazione, coinvolgendo attivamente i visitatori in un viaggio sensoriale unico.

 

Sciaraffa esplora la relazione tra individuo e cosmo, offrendo un’esperienza che supera i confini della rappresentazione tradizionale per toccare le corde più profonde della sensibilità umana. La Chiesa di San Mattia, con la sua rilevanza storica e spirituale, diventerà quindi il fulcro di una composizione di emozioni che trascende il visibile e il tangibile.

 

Ogni opera presentata contribuirà a un’esperienza unificata che evoca un caleidoscopio di sensazioni: dalla calma meditativa al senso di vastità cosmica, dalla curiosità esplorativa alla profonda connessione interiore. L’interazione tra suoni risonanti, luci mutevoli e vibrazioni tangibili crea un ambiente che stimola la riflessione personale e collettiva, trasportando i visitatori in una dimensione dove il tempo sembra sospeso e lo spazio diventa una cassa di risonanza per emozioni e pensieri.

 

Alessandro Sciaraffa è un artista multidisciplinare la cui pratica si concentra sulla creazione di installazioni sonore, sculture interattive e opere multimediali che esplorano la percezione sensoriale e le interazioni tra il suono, la luce e lo spazio. Il suo lavoro coniuga la tecnologia con una riflessione poetica sul tempo, lo spazio e l’esperienza corporea. Ha esposto in numerosi contesti nazionali e internazionali, musei e gallerie.

 

Info

Ex Chiesa di San Barbaziano

Via Cesare Battisti 35, 40123 Bologna

Ex Chiesa di San Mattia

Via Sant'Isaia 14/a, 40123 Bologna

 

COME DA COMUNICAZIONE RICEVUTA

PARTE L’OSCAR GREEN, VETRINA DEI GIOVANI TALENTI DELL'AGRICOLTURA MADE IN CAMPANIA



La Coldiretti Campania cerca talenti e idee da valorizzare offrendogli la giusta vetrina nell’ambito professionale e l’opportunità di farsi conoscere in tutta la Nazione. Questo lo spirito che anima l’invito a partecipare all’Oscar Green 2025.


Quest’anno sono cinque le categorie di concorso dell’Oscar Green, le cui domande di partecipazione vanno presentate entro il 20 marzo prossimo, direttamente sulla pagina web https://giovanimpresa.coldiretti.it/oscar-green/iscrizione/ oppure presso le Federazioni Provinciali Coldiretti.


“In un contesto che, senza dubbio, non è favorevole per le nuove generazioni, il settore agricolo si presenta come un'opportunità significativa per i giovani – sottolinea il delegato nazionale di Coldiretti Giovani, Enrico Parisi -. L'agricoltura italiana, nella sua attuale forma, caratterizzata da diversificazione e multifunzionalità, svolge infatti un ruolo chiave nel favorire l'occupazione e nel promuovere la crescita del settore”.



   - La categoria “Campagna Amica: Custode di Biodiversità” premia quei progetti che promuovono i prodotti dell’agroalimentare italiano avvalendosi di forme di commercializzazione ispirate alla filiera corta attraverso i mercati contadini, le iniziative volte a sviluppare le potenzialità ricettive delle aziende agricole e il turismo nelle aree rurali.


   - “Impresa Digitale e Sostenibile” si rivolge alle imprese che attraverso la digitalizzazione lavorano e producono in modo ecosostenibile valorizzando gli scarti di produzione in un’ottica di economia circolare, producendo energia e risparmiando risorse naturali.


   - “Coltiviamo insieme” coinvolge quei modelli di imprese, cooperative/consorzi, soggetti pubblici capaci di creare reti sinergiche con i diversi soggetti della filiera agricola per il benessere della collettività, in progetti di partenariato.


   - La categoria Agri-Influencer è rivolta a tutte quelle imprese che promuovono le loro attività attraverso l’uso dei moderni canali di comunicazione, con i loro eventi o con le loro pagine social.


    - “+Impresa”, infine, premia le aziende agricole che si confrontano in un contesto sempre più sfidante ed internazionale nel quale la capacità di visione dell’imprenditore diviene componente fondamentale.

 

COME DA COMUNICAZIONE RICEVUTA

I MURI

 Oscar Piattella

I MURI

 A cura di

Aldo Iori e Alberto Mazzacchera

Biblioteca comunale dell’Archiginnasio – Cappella di Santa Maria dei Bulgari, Bologna

6 febbraio – 8 marzo 2025




Nell’ambito di ART CITY Bologna 2025 in occasione di Arte Fiera

Mostra promossa da Archivio Oscar Piattella

Con il patrocinio di do ut do

In collaborazione con Biblioteca comunale dell’Archiginnasio

Sponsor Illumia, Inveco, PwC e Ti Style iT

 

Nella centrale e prestigiosa Cappella di Santa Maria dei Bulgari della Biblioteca comunale dell’Archiginnasio di Bologna, dal 6 febbraio all’8 marzo 2025 apre la prima e più significativa sezione della mostra antologica su più sedi dedicata a Oscar Piattella (Pesaro, 1932 – Urbino, 2023), a cura di Aldo Iori e Alberto Mazzacchera.

La mostra è promossa dall’Archivio Oscar Piattella con il patrocinio di do ut do, in collaborazione con la Biblioteca dell’Archiginnasio e quali sponsor: Illumia, Inveco, PwC e Ti Style iT.

Con Oscar Piattella. I muri si presentano al pubblico (inaugurazione 5 febbraio, ore 16) otto opere di grande formato appartenenti all’omonimo ciclo di lavori (1958 – 1986) che trova una sua particolare correlazione con lo Special Program di ART CITY 2025 intitolato Le porte della città.


La mostra all’Archiginnasio di Bologna è il primo di tre appuntamenti espositivi pensati per valorizzare l’opera del maestro pesarese in programma nella settimana di ART CITY Bologna ed Arte Fiera. Sabato 8 febbraio apriranno anche le mostre Oscar Piattella. I segni del cosmo presso la sede di PwC Italia in via Carlo Farini 12 (ore 18, solo su invito) e Oscar Piattella. Magnetismo architetturale alla Galleria Stefano Forni, in piazza Cavour 2 (ore 22:30, ingresso libero).

Il muro, attraverso le sue differenti declinazioni, contrassegna quasi ininterrottamente l’intera produzione artistica di Oscar Piattella. La forza magnetica del muro nella pittura di Piattella non è, tuttavia, elemento sufficiente a giustificare un simile attaccamento, al limite di un’apparente ossessione. Non lo è, e non potrebbe esserlo in un pittore dotto e sperimentatore come lui, sempre in equilibrio tra esigenza di radicamento nel terreno della riconoscibilità e assoluto nomadismo nelle vastità dell’invenzione. Lo spirito di ricerca in Piattella è, infatti, e rimane centrale, a qualsiasi costo.

La sua produzione è frutto di una ricerca costante, mai intermittente, sempre profonda e autentica. Indubbiamente quel “fraseggio geometrico” (come lui stesso lo definiva) che insieme alla luce è elemento centrale della sua pittura, e che si fa assoluto protagonista nella produzione ultima del secondo Millennio attraverso I segni del cosmo, è stato per Piattella l’elemento per marcare una differenza, per segnare uno stacco rispetto alla pittura informale, rispetto alla gestualità pittorica che, pure quando compare, nei suoi dipinti sottostà ad una rigorosa, ricercata visione d’insieme. 

Per tale motivo, la pittura materica di Piattella non può incastrarsi in quella tracciata e suggerita a molti artisti da Nicolas De Staël (1914 – 1955), poiché in Piattella non viene mai meno la scansione delle superfici ancorata ad un potente fulcro architetturale sul quale si innesta tutta la sua produzione. E certamente non mancano le assonanze con la pittura di Jean Dubuffet (1901 – 1985), che tuttavia si limitano al ricorso a materiali non tradizionali, ad un fare pittura in modo non convenzionale, anche se in Piattella sempre controllato da una precisa ottica compositiva. Il disegno in Piattella rimane passaggio obbligato della genesi creativa.

Ciò emerge, seppure forse dapprima in maniera più istintiva che concettuale, fin dagli anni Cinquanta del Novecento, in cui l’artista inizia a produrre una serie di lavori importanti, felicemente risolti che recano le suggestioni delle superfici delle terrecotte. Proprio in quegli stessi anni Piattella condivide, in due differenti momenti, lo studio in Pesaro con Nanni Valentini (1932-1985) e con Giuliano Vangi (1931-2024) il quale lo definiva amabilmente “il mio allievo”. C’è, inoltre, il suo breve ma intenso soggiorno parigino, all’indomani della seconda guerra mondiale, dove i “Muri di Parigi” sono appunto opere che risuonano palesemente dei drammi materiali e ideologici del tempo. I riferimenti culturali e storici dei Muri di Piattella, la cui tematica inizia ad indagare dalla metà degli anni Cinquanta, comunque sono vasti e non restano circoscritti ai muri di difesa, la cui storia è inestricabilmente intrecciata a quella dell’umanità, almeno fino alla Prima guerra mondiale, quando lo sviluppo tecnologico applicato alle armi e ai mezzi da guerra muta gli scenari. Ad incidere fortemente sul contesto culturale del XX secolo sono, infatti, i muri politici, quelli contro le libertà, tra i quali ad occupare un posto centrale è il Muro per eccellenza: ossia quello di Berlino. Un concetto e un’idea da intendersi in senso appunto generale, topico, che l’artista esplorerà attraversando tutte le sue significazioni esemplari e storiche. 

Con un sapiente uso della materia e modulazione della luce, con quel raffinato “fraseggio geometrico”, Piattella introduce l’osservatore in una dimensione indubbiamente interiore in cui l’iniziale attraversamento del muro e al contempo la sua permanenza percettiva attraverso la scansione reticolare, apre alla singola coscienza percorsi contrassegnati da molteplici pietre miliari, come tanti frammenti della memoria.

La passione per la pittura, praticata fin da quando era ragazzo, ha accompagnato Oscar Piattella in ogni momento della sua vita. Nei primi anni Cinquanta la Pittura aveva bussato alla sua porta. Infatti, giungevano a pensione nella grande casa avita in Pesaro, due giovani insegnanti, suoi coetanei e poi amici, che sarebbero divenuti i noti artisti Giuliano Vangi e Loreno Sguanci (1931-2011).

Nel dopoguerra, a Pesaro germoglia e prende corpo un gruppo di artisti tra loro in dialogo, spesso con rapporti amicali oltre che professionali. Un gruppo al quale si deve l’azione di aver dissodato il campo culturale della città trasformandolo in punto di riferimento per un territorio più vasto.

La trasformazione del linguaggio, che Piattella elabora velocemente ed in maniera molto sicura, avviene non a caso proprio negli anni giovanili, vissuti a Pesaro. Qui avrebbe stretto solidi e duraturi rapporti con Bruno Baratti, Renato Bertini, Bruno Bruni, Sandro Gallucci, Loreno Sguanci, con Nanni Valentini e Giuliano Vangi. Ma a Pesaro è pure la formidabile impronta di Arnaldo e del fratello Giò Pomodoro, che Piattella frequenta a Milano insieme a Walter Valentini. Nel mentre Pesaro emerge come un faro per l’arte contemporanea marchigiana, il territorio collinare ospita, le importanti esperienze poveriste coagulate attorno a Pier Paolo Calzolari, e all’ombra dell’Appennino cresce in Cagli lo scultore Eliseo Mattiacci, che, dopo le esperienze ed i successi romani ed internazionali, avrebbe scelto, infine, Pesaro.

Per Piattella, dunque, le frequentazioni iniziate quando ancora a Pesaro si camminava tra le macerie della guerra, avrebbero consolidato quei talenti che reclamavano spazi mentali e stimolanti confronti. La sua pittura inizialmente figurativa, incentrata su ritratti psicologicamente ben delineati, lascia spazio, già a metà degli anni Cinquanta, ad un nuovo modo di sentire. Il dipinto Case in periferia, esposto nel 1955 alla VII Quadriennale di Roma, è testimonianza di precoci intuizioni che in poco tempo lo porteranno al formidabile tema del muro, che nel volgere di pochissimi anni subisce una fulminea elaborazione, in grado di condurre alla matura serie esposta nel 1958 alla Galleria l’Ariete di Milano con l’autorevole introduzione critica di Franco Russoli.

Nel 1957 a Parigi, Piattella può confrontarsi direttamente con le esperienze dell’Informale europeo e con le nuove ricerche nel campo dell’astrattismo di artisti francesi e catalani. La suggestione di vecchi palazzi parigini, con i muri grondanti degli orrori della guerra, lo induce a nuove considerazioni sullo spazio pittorico e sulla superficie che, in tal modo, si arricchisce di nuove cromie e di proliferazioni segniche.

Nel 1958 conosce Franco Russoli, allora direttore della Pinacoteca di Brera e autorevole esponente della critica militante, che apprezza alcuni suoi lavori nello studio dell’amico fraterno Nanni Valentini a Milano. A Milano, Piattella entra in contatto con l’ambito artistico dalle forti connotazioni internazionali e stringe amicizia con Dorazio, Castellani, Cascella, Nigro, Fontana, Tancredi, Sottsass, il fotografo Ugo Mulas ed altri esponenti del panorama artistico europeo. In particolare, frequenta assiduamente Arnaldo e Giò Pomodoro, Paolo Schiavocampo, Giuseppe Spagnulo, Albert Diatò, Claudio Olivieri e Walter Valentini.

Il confronto con artisti, scrittori, poeti (quali ad esempio l’amico Yves Bonnefoy e Berand Noël), e intellettuali sarà per Piattella una costante del suo percorso sapienziale.

Viene invitato a rassegne internazionali ed espone in importanti gallerie italiane ed estere, e le sue opere entrano in prestigiose collezioni pubbliche e private.

L’intensa attività di ricerca porta negli anni la sua pittura a ricevere ampi consensi sia da parte della critica più accreditata sia di un vasto pubblico internazionale. Numerose, specie negli ultimi anni, le vaste mostre antologiche in spazi istituzionali in Italia e all’estero.

Dalla metà degli anni Settanta si interessa anche alla grafica d’arte e alla produzione di libri d’artista in edizioni multiple o esemplari unici.

PwC Italia

Presso la sede di PwC Italia ex Banco di Napoli (via Carlo Farini, 12) la mostra Oscar Piattella. I segni del cosmo, si concentra sull’ultima produzione dell’artista (2015-2020), ispirata al tema del cosmo e dei suoi elementi. Nelle tre vetrine di PwC saranno esposte tre tele dei muri del 1958-60 (elemento unificatore delle tre sedi espositive) e un monitor mostrerà le otto opere del ciclo i Segni del cosmo (2015-2020) esposte nell’antica sala interna a doppia altezza già Banco di Napoli.

 

Le opere esposte nella sala interna appartengono all’ultima rinnovata fase, in cui Piattella ha saputo trovare una nuova freschissima sorgente creativa tornando a ruminare con la mente sugli esempi del Rinascimento matematico urbinate.

Il disegno, che già in passato lo aveva supportato per alcuni cicli pittorici, dal 2015 è divenuto centrale. Il rigore con il quale egli progetta ogni sua opera fin nei minimi dettagli, il ricorso alla matematica e all’emersione del “fraseggio geometrico”, si allenta e scompare con l’immissione del colore sulla tavola. A condurlo è una magistrale padronanza delle tecniche e l’aver saputo sviluppare ulteriormente e raffinare equilibrio formale e armonia cromatica.

Così vengono le ultime opere a piena maturazione, con costanti nuovi dosaggi e alleggerimenti del calcolato schema iniziale sempre con la compresenza di diversi punti irradianti che aprono a spazi della mente. Quell’ipnotico rincorrersi di punti, di linee, di quadrati, di rombi, di onde in armonica alternanza cromatica cela un lavoro rigoroso, duro e senza tregua. Un lavoro meticoloso che magistralmente sfuma ai bordi in un non finito, che ha la potenza del rimando all’infinito universo.

Più ci si pone con occhio libero di fronte alle opere dell’ultima produzione di Piattella, più cresce la sensazione che si stia entrando in un territorio di confine, un fertile inesplorato spazio liminare della pittura. Di una pittura autentica, capace di emozionare. 

Informazioni e orari:

www.archiviopiattella.it                                                     


Galleria Stefano Forni


Alla Galleria Stefano Forni (piazza Cavour, 2) viene presentata l’antologica Oscar Piattella. Magnetismo architetturale, dove la selezione delle 14 opere esposte (1957-2012), concentra l’attenzione su differenti cicli dei muri, sulla centralità del disegno, su opere sempre progettate e contrassegnate dalla scansione ben ritmata delle superfici.

Accanto alle opere storiche del 1957-59, sono i muri che l’artista costruisce ricorrendo a porzioni quadrangolari di tessuto (1990-91) recuperate dalle fodere dei vecchi materassi dismessi delle caserme militari.

Per Alberto Mazzacchera “la questione del muro, tema di straziante centralità nel Novecento, è espressa attraverso registri differenti, espressioni tangibili delle molteplici fasi di ricerca che si sono dispiegate e che Piattella sviluppa lungo due fondamentali, diverse direttrici. Da una parte, prende le mosse da tasselli del reale costruito dall’uomo, ne evoca la presenza in sua assenza, per condurre l’osservatore dinanzi ai muri politici e quella che appare una sorta di ossessione, non sfugge, infatti, alle proiezioni dell’ombra lunga e inquietante dei muri degli uomini contro le libertà che hanno a lungo flagellato i popoli europei del Novecento. Dall’altra, il muro di Piattella è anche porta di accesso agli strati profondi della mente, diaframma da varcare verso uno sterminato universo interiore”.

In queste opere, esposte alla Galleria Stefano Forni, parrebbe a tutta prima di ritrovare traccia dell’opera di Alberto Burri (1915-1995) della vicina Città di Castello. Ma è solo un’impressione di superficie in quanto Burri manipola con estrema efficacia la materia col fuoco al limite della sua dissoluzione, mentre in Piattella il ricorso al calore con piastre arroventate avviene per una elaborata e calibrata ricerca di infinite gradazioni di colore.

Sono, inoltre esposte delle opere del 1991 a rappresentare quella porzione di produzione artistica di Piattella che, dopo le garze azzurre e blu notte della fine degli anni Ottanta, trova nelle pezze di jeans una feconda materia espressiva, e nelle declinazioni dell’azzurro la sua tavolozza.

Queste opere di Piattella, magistralmente costruite, inducono Yves Bonnefoy, il grande poeta e critico d’arte francese, a scrivere appositamente, nel 2002, che “allora è l’azzurro come quando lo si vede farsi intenso, incavarsi nel cielo d’estate, un assoluto che trascina lo spirito nel non – visibile, nel non – pensabile: questo silenzio vertiginoso della caduta nel cielo, del cadere all’infinito nell’azzurro del cielo di cui i bambini sono capaci, di cui gli adulti si ricordano”.

Qualche anno prima, Oscar Piattella, ragionando in un libro dedicato alla ricerca di Azzurro Blu Celeste (1999), osservava: “se distillassimo tutti i mari del mondo non rimarrebbe un accenno del loro azzurro”, inutili sarebbero “le nostre reti di seta” gettate sui fondali, finché ci si renderebbe conto “che un po’ di quella ‘materia’ è lì, fusa con il colore del nostro sangue, come in un sogno, come il sogno di quella stessa ‘materia’ “. Una materia che in Piattella, sapientemente sublimata dalla luce, è in grado di suggestionare l’inconscio, e di spalancare orizzonti mentali nuovi.

Dunque sa ben leggere Massimo Cacciari quando scrive che nelle opere di Piattella “ciò che appare non è che il frantumarsi della Luce interiore; i colori non sono che il timbro che la Luce assume illuminando il ‘paesaggio dell’anima’”.

 

COME DA COMUNICAZIONE RICEVUTA

Maurizio Cattelan e Marta Papini firmano la curatela della prima mostra del 2025 alla Fondazione ICA Milano

LONELY ARE ALL BRIDGES
Birgit Jürgenssen e Cinzia Ruggeri

16 gennaio – 15 marzo 2025
Fondazione ICA Milano | Via Orobia 26, Milano

Lonely Are All Bridges. Birgit Jürgenssen e Cinzia Ruggeri, Installation view, a cura di / curated by Maurizio Cattelan e/and Marta Papini, Fondazione ICA Milano, Milano. Ph. Andrea Rossetti


Fondazione ICA Milano presenta la bipersonale Lonely Are All Bridges. Birgit Jürgenssen e Cinzia Ruggeri, la mostra che inaugura le attività della Fondazione per il 2025 con l’eccezionale curatela dell’artista Maurizio Cattelan e della curatrice Marta Papini che sarà aperta gratuitamente al pubblico da giovedì 16 gennaio a sabato 15 marzo 2025.
 
L’esposizione celebra il lavoro di due artiste iconiche, Birgit Jürgenssen (Vienna, 1949 – 2003) e Cinzia Ruggeri (Milano, 1942 – 2019), mai incontratesi di persona ma poste idealmente in dialogo attraverso le loro opere, visioni e riflessioni. Nate alla fine degli anni Quaranta e formatesi negli anni Sessanta, Birgit Jürgenssen e Cinzia Ruggeri hanno affrontato il ruolo della donna nella società, intrecciando tematiche legate al corpo, all’identità e alla trasformazione. La comune fascinazione per l’ornamento e l’accessorio, interpretati come un’estensione del corpo e strumento di conquista del proprio spazio, traccia il filo rosso di un’esposizione che invita a riflettere sulla relazione tra estetica, politica e identità che innerva tuttora il nostro orizzonte quotidiano.
 
Il titolo della mostra è tratto da un verso della poetessa austriaca Ingeborg Bachmann, “lonely are all bridges”, che sintetizza lo spirito sperimentale di due artiste il cui lavoro si spinge oltre le convenzioni e costruisce ponti in grado di attraversare discipline differenti, muovendosi tra arte, moda, design e fotografia.
 
Lonely Are All Bridges. Birgit Jürgenssen e Cinzia Ruggeri è un’estensione e un affondo della mostra presentata nel 2021 nella galleria viennese Galerie Hubert Winter. Gli spazi di Fondazione ICA Milano ospitano un numero più ampio di opere rispetto all’edizione viennese, evidenziando nuovi punti di incontro nelle pratiche delle due artiste: dall’approfondimento del ruolo della donna nell’ambiente domestico e sociale durante gli anni ’70 e ’80, alla fascinazione per il mondo animale e vegetale, dall’approccio leggero riservato alle eredità del Surrealismo e del Dadaismo, allo sguardo ironico sugli oggetti inanimati.

 

 ICA Milano | Istituto Contemporaneo per le Arti
Via Orobia 26

Milano

www.icamilano.it
Orari: 

giovedì – dalle 14:00 alle 18:00; 

venerdì e sabato – dalle 12:00 alle 19:00
Ingresso libero


COME DA COMUNICAZIONE RICEVUTA