"Consumato da tempo ogni
riferimento figurativo, che contraddistingueva la realizzazione di
figure stilizzate dal carattere chiaramente simbolico e totemico Ugo
Cordasco approda ad una serie di lavori di matrice evidentemente
astratta, minimalista, mediante i quali aspira, mi confessa egli
stesso, punta a raggiungere una sorta di grado zero della forma, una
dimensione universale e atemporale della scultura, per far spazio ad
una personale concezione della tridimensionalità tesa all’indagine
dell’interdipendenza tra spazio e volume, nonché alla possibilità
della scultura di rendere lo spazio ambiente, luogo.
Mosso dalla necessità di rileggere
quanto fin’ora costruito, soprattutto confrontandosi con la
dimensione urbana, associando all’attività di scultore quella di
architetto, Cordasco concentra ora la sua attenzione su valori
geometrici elementari, di tipo vettoriale, strutture primarie,
costruite con lastre di ferro smaltato, contraddistinte da una
compatta campitura nera, montate sia a parete, varianti del celebre
Quadrato nero di Malevic, tra cui il recente Alfabeto della
incomunicabilità, o sul pavimento issate come mehir, stele capaci di
mettere in comunicazione il passato ancestrale dell’umanità con
un’immagine di futuro.
In questo senso Cordasco sembra
condividere le posizioni di Donald Judd per il quale «poiché la
natura delle tre dimensioni non è prefissata né prestabilita si può
dar vita a qualcosa di incredibile» si può, in altre parole dare
spazio a forme e luoghi capaci di attraversare e accogliere la nostra
esistenza.
È quanto affiora osservando da un lato
il gruppo di machette per interventi di tipo urbano tra cui si
ricorda La lavandaia realizzata nel 2014 a Sarno, e dall’altro la
serie di schizzi e bozzetti, parte dei quali raccolti per questa
mostra, la cui essenziale linearità viene trasposta nello spazio
dalla solidità e dalla duttilità del filo di ferro modellato e
saldato dando corpo a piccoli reticoli, a Structurae che aspirano
alla dimensione ambientale, al confronto con l’architettura e con
la natura così come ricordano i lavori più recenti, Energie vaganti
e cangianti.
Opere, quest’ultime, che
approfondendo il confronto con le energie presenti nel paesaggio
naturale - dall’orizzontalità frastagliata e drammatica delle
montagne, alla solenne verticalità degli alberi, al moto continuo
del mare e dei fiumi - aspirano ad una loro sintesi ma soprattutto a
diventarne parte integrante. In altre parole Cordasco mira a
realizzare quelle che Anthony Caro definirebbe «scultitetture»,
aspirando ad un dialogo più serrato con l’ambiente e per questo
osservandone le opere non bisogna lasciarsi distrarre dalle loro
ridotte dimensioni che piuttosto ne esaltano il valore di progetto,
di modello, di utopia in attesa di domicilio". (Pasquale
Ruocco).
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