Lunedì 6 agosto alle ore 21,30 i
riflettori della elegante rotonda del Palm Beach di Capitello
d’Ispani si accenderanno sulla Big Band SwingTime, diretta dal M°
Antonio Florio
Il Palm Beach, il più “giovane”
tra i lidi che insistono sulla splendida spiaggia della frazioncina
marina del comune d’Ispani, Capitello, che quest’anno si fregia
della bandiera blu, creato dall’inventiva estrosa di Luigi
Giudice, lunedì 6 agosto, alle ore 21.30, ospiterà nel corso dei
suoi noti eventi musicali, una serata evento dedicata all’era
dello swing. Protagonista indiscussa la Big Band SwingTime, composta
da Francesco Florio e Nicola Rando sax alto, Umberto Aucone e
Maurizio Saccone al sax tenore, Enrico Scarpa al sax baritono,
Giuseppe Fiscale, Mauro Seraponte, Gianfranco Campagnoli e Pino
Melfi alla tromba, Alessandro Tedesco, Raffele Carotenuto e Umberto
Vassallo, al trombone, Antonio Perna, al pianoforte, Antonello
Buonocore al doublebass e alla batteria Gianluca Mirra, diretta dal
M° Antonio Florio, il quale, nel suo ruolo anche di fine
arrangiatore, di musica che nel suo procedere nel tempo è stato
sempre sorretto da una indiscussa, incredibile vitalità, in un
nesso sanguigno e vibrante tra epoche e stili succedentisi,
costituente la prima e l’ultima fondamentale caratteristica di
questo linguaggio che continuamente rinnova se stesso. Il piatto
forte della serata, sarà, naturalmente, il portrait di Glenn
Miller, musicista simbolo dello sbarco quanto il boogie, con il
celebrato In The Mood, divenuto un vero e proprio inno della
liberazione nel mondo, colonna sonora della fine della guerra e di
un’epoca, e simbolo dell’inizio di un’altra era, quella della
libertà. Fu proprio la sua musica ad arrivare per prima in Europa,
attraverso i famosi “V” disc, al seguito delle truppe americane.
In the Mood, un boogie woogie che si potè ascoltare nella colonna
sonora del film Sun Valley Serenade e Moonlight Serenade, con quel
loro inconfondibile suono ottenuto con l’impasto delle ance furono
musiche che servirono a far capire agli europei che la guerra era
veramente finita. Ora, chi voleva, da questa parte dell’Atlantico,
poteva anche scoprire, o riscoprire, il jazz, quello ritmato e un
po’ melenso dell’ “era dello swing”, e quello dei suoi
dintorni, a cominciare dall’impareggiabile Duke Ellington, che
vedremo tratteggiato in pagine che hanno scritto la storia di questo
genere, quali “It Don’t mean a Thing if ain’t got that Swing”,
pezzo che ha dato appunto il nome a questo periodo, Mood Indigo,
Caravan, Echoes of Harlem, e ancora, Count Basiecon Splanky,Randy
Brooksevocato da Harlem Nocturne, la potenza dell’orchestra di
Chick Webbcon Stompin’ at the Savoy. Gli europei, che a queste
cose si interessavano, si buttarono sui “V” discs e, quindi,
sulle prime incisioni regolari disponibili, per fare una
scorpacciata di jazz. Inghiottirono in un sol colpo anni di musica e
cercarono di capire. Forse, trovandosela dinanzi tutta insieme,
poterono comprendere meglio degli americani che cosa era stata la
musica swing, e che cosa, di tutto quanto era stato registrato negli
anni della “swing craze”, valesse la pena di essere ricordato e
conservato. Non poteva certo mancare un brano altamente simbolico:
Sing, sing, sing !composto daLouis Primanel 1936. E’ questa la
pagina voluta da Benny Goodman per chiudere la scaletta dello
storico concerto del 16 gennaio 1938 alla Carnagie Hall. Il jazz in
quella data sbarcò nel tempio della musica classica, con
un’orchestra composta da rappresentanti di tutte le minoranze che
avevano fatto nascere questo genere, unitamente all’America.
Bianchi, neri, ebrei, creoli, italiani, sud-americani, lanciarono
uno dei primi inni di pace, aperto dall’evocazione dei tamburi
d’Africa, nello storico a-solo di Gene Krupa. Ma si andrà ben
oltre lo swing, con un assaggio di crossover nel ricostruire le
emozioni dell’ “Ich bin ich”del preludio al poema straussiano,
Also Sprach Zarathustrae quelle del preludio della Traviata
diGiuseppe Verdi, nell’arrangiamento firmato da Antonio Florio.
D’altra parte l’improvvisazione e la variazione rappresentano in
musica i percorsi di unità e divergenza di tutti i generi, una
“semplice” complessità in cui la manipolazione del materiale
sonoro definisce strutture e modelli, la cui interazione genera
sistemi a livelli crescenti d’astrazione. La ragione semantica
della musica emerge, nel continuo divenire del “ludus harmonicus”,
il gioco dell’invenzione e della mutazione.
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