Giovedì 13 Settembre 2018, alle ore
17,30, sarà inaugurata la mostra, curata da Maurizio Vitiello,
“CORRELAZIONI ASTRATTE” con opere recenti, in tecnica mista, dei
tre artisti aniconici dell'area campana Eduardo FERRIGNO, Antonio
IZZO, Gianni ROSSI, all’Associazione Artistico-Culturale “Eventi”,
Via Varese, 16 58100 – Grosseto (cell. 393.967.41.33), in
collaborazione con l’Associazione Nazionale Sociologi –
Dipartimento Campania.
Saluti di Enrico Contu e Antonella
Giordano.
Intervento critico di Maurizio
Vitiello.
Saranno presenti gli artisti.
L’esposizione resterà aperta sino a
domenica 23 Settembre 2018; orario galleria: 17,30-19,30.
Catalogo in galleria.
Da anni Eduardo Ferrigno, Antonio Izzo
e Gianni Rossi saggiano i loro studi e i loro interventi in mostre di
gruppo; hanno voglia di esprimersi, di “esserci”, di discutere.
E’ chiaro che la prospettiva del
domani è nell’attualità dell’arte.
Il loro procedere è un gioco sottile
di rimbalzi; orizzonti, profili, panorami s’interconnettono nelle
frontiere comuni.
Oggi abbiamo bisogno di bellezza e di
sogni; "La bellezza salverà il mondo" afferma il principe
Miškin nell'Idiota di Dostoevskij e “Siamo
fatti della stessa sostanza dei sogni” scrive il grande
drammaturgo seicentesco che fu Shakespeare,
nella sua opera “La tempesta”.
Il loro cammino è accattivante, va
verso il “bello” e il loro impegno è sincero; finitime sono le
loro impostazioni, e, tra le loro opere, si colgono, si avvertono e
si percepiscono “scambi di confine”, nell’alveo di produzioni
serissime e nel concreto ventaglio di traguardi raggiunti, già,
coerentemente, alle spalle.
Eduardo Ferrigno con la sua pittura
riesce a incardinare assi con giustapposizioni, che attirano
interessi; insomma, verticalità dimensionano un “assett”
centrale, chiaro e netto.
Con questi ultimi lavori distribuisce
con acutezza impianti finemente investiti dalle qualità cromatiche
dell’oro, sino a coinvolgere cromatismi forti, carichi.
I soggetti hanno voglia di conquistare
lo spazio, anzi tentano di sedurlo e d’invaderlo, pienamente.
Questa costante si capta dalla
dinamica, dichiarata ed estrema, di intriganti penetrazioni e
incursioni, che intendono significare presenze.
Eduardo Ferrigno codifica la redazione
delle sue opere con impasti cromatici solidi, convincenti e compatti,
perché si riveli un misurato senso tattile, quasi di corporeità, e
per favorire, al massimo, l’assunzione icastica della scena.
Nella discrezionalità rigorosa
dell’impianto astratto, impostato e strutturato, si legge e si
ricava la tendenziale idea di misurare lo spazio, ma, anche, di
interpretarlo, integralmente, per possederlo e alla fine per
conquistarlo con valenti e pregnanti pluri dimensioni cromatiche.
Eduardo Ferrigno non ricorre a
iconografie multimediali, ma a scandite estrapolazioni e a gettiti
emotivi personali, ed è sempre in continua attività; impegnato,
indubbiamente, a inquadrare azioni e a seminare gesti nuovi.
L’artista cerca di dare sostanza alle
attese e coglie, nelle sue combinate plastico-pitture, certezze acute
di soglie e di limiti, ma fa di tutto perché ci siano varchi,
respiri, passaggi, insomma aperture.
Il suo intendimento indugia, con severa
discrezione, sull’esterno del mondo e mantiene un giusto e pudico
contatto con i sentieri del limite e dell’estremo, che non ravvede
come soglie di preclusione, come stop.
Un sentimento di riappropriazione lo
spinge a colmare la tela bianca e, allora, legge i sussulti
quotidiani, mai pacifici, controllati ed esaminati grazie ad una
profonda ed estesa presa di coscienza, compiutamente corroborata
anche dalla disamina di ciò che è stato sedimentato, e che regge,
elegantemente, quasi in decalcomania, “l’esprit du monde”.
Il “focus” dell’azione pittorica,
che parte e prende spunto da vene intimistiche, cala, poi, il suo
interesse sulla rappresentazione del reale, determinata dalla
“comédie humaine”.
Eduardo Ferrigno con estrema sobrietà
ha sempre cercato di esplicitare, estroflettere e condensare con un
particolare codice linguistico un intenso carico di immagini
vigorose, energiche e vivaci, in cui segmenti e cromie potenziano e
consolidano visioni e osservazioni rilevanti e costanti.
Le sue opere riescono con l’affondo
nella materia a confermare squarci di luci e di verità, spaccati
filigranati e riassunti laceranti.
L’artista forma, con significativa
abilità, spessori sulla tela per alimentare cromatismi decisi,
perché palpitino equilibri di umori e s’inseguano sfere di
sentimenti.
Si riesce, così, a captare la volontà
dell’artista di significare, con tratti rinforzati ed esperti,
agganciati a preposti vettori cromatici, determinati da gesti
precisi, un calibrato ventaglio di motivi e di strutture visive.
Eduardo Ferrigno assegna a una scala
polarizzata di sequenze di colori, regolata da reticoli di sezioni,
che vibrano tra torsioni necessariamente dinamiche, concetti e
pensieri alti, nonché istruite considerazioni.
Non solo le parole, ma anche i suoi
variegati segni esprimono e dichiarano propositi, investigazioni e ci
riassumono l’uomo che, seppur dominante con la tecnologia,
riattraversa i miti per by-passare e oltrepassare la storia, ma, in
definitiva, insegue libere fughe in avanti.
Il suo itinerario pittorico,
sostanziato da suggestioni iconiche, è cadenzato da visioni aperte,
nelle quali si percepiscono accadimenti possibili, tracciati da ombre
oscillanti e da presenze mutevoli.
Eduardo Ferrigno raccoglie e assembla,
seguendo palpitanti visioni, che ricontrolla con un esercizio
cadenzato di spessori, tocchi cromatici e di precisazioni
strutturali.
Le modulazioni dell’artista, lontane
da congetture ipotetiche o da circuiti ingannatori, risultano
franche, autentiche.
L’artista, con redazioni pittoriche
caricate da tratti spezzati, riesce ad assumere una posizione
propria, agganciata, comunque, ai solchi di ambiti di un singolare
simbolismo astratto.
La sua pittura snoda sequenze e
inquadrature di un universo, raccolto da risposte di uno specchio
intimo, ma che guarda anche al mondo.
Oggi, in conclusione, le ultime opere
dell’artista, risultano tangenti a una chiave più vicina
all’astrazione,
Nella sequenza degli ultimi lavori si
percepiscono significazioni ad alta incidenza astratta.
I colori sono stati gradualmente
scelti, conquistati, presi, ripresi, verificati, sostanziati, calati,
stesi, assunti e determinati.
Le nuove frontiere di un percorso
sensibilmente astratto sagomano e profilano campi dell’origine per
intercettare e meglio intendere il futuro.
A memoria calma e raffreddata, possiamo
sottolineare che la produzione artistica dell’artista deriva da
seduzioni e articolati recuperi; da seduzioni perché ha sempre
inseguito e sostanziato percorsi della sua ricerca tentando di
indagare su vari, complessi e specificati tagli estetici e da
recuperi, perché per lui nessun “materiale di risulta” può
considerarsi tale, dato che potrebbe avere ancora in sé un lancio di
sfida all’estetica.
In una complessa rete di riverberi di
cuore e di segni rugosi, tutti tesi a pronunciare una storia di
rimandi estremi, e in una sorta di affrancature emotive e di
“scarabocchi”, che indugiano e indagano su variabili “altre”,
corrispondenze astratte declinano variegate sequenze immaginative di
riscontri intuitivi.
Alcuni dipinti, come ad esempio,
“Elemento organico su fondo rosa” (2016), “Verso il Golgota”
(2016), “Mediterraneo” (2016), “Nello studio del pittore”
(2017), deviano su incasellamenti ed effrazioni, che ricordano,
lontanamente, in filigrana e come reliquato memoriale, la “scia”
figurale di bimbi in gioco o impegnati nella disputa de “il gioco
della settimana” – ma i ragazzini d’oggi sanno che cos’è? -
presente nella produzione di espressività gestuale di Elio
Waschimps, dopo, e, prima, di Raffaele Lippi, che fece parte del
“Gruppo Sud”, insieme ad Adriana Artiaco, Renato Barisani
Raffaello Causa, Ezio De Felice, Renato De Fusco, Armando De Stefano,
Vera De Veroli, Alfredo Florio, Vincenzo Montefusco, Federico
Starnone, Mario Tarchetti, Guido Tatafiore.
Da non dimenticare che Elio Waschimps e
Raffaele Lippi passarono, successivamente, per l’informale, come
cita, tra gli altri, giustamente e pertinente, Renato De Fusco.
Izzo, ora, rientra con un certo
carattere ed espone con una più determinata continuità, da solo e
con questo gruppo di amici-artisti.
La voglia di segmentare e approfondire
per accertare reali posizioni di giudizio combina un ductus, in cui
viene tracciata la redazione di una scrittura da corsivo dinamico al
posato manifesto.
Le sue opere meritano attenzione da
parte della stampa e della critica, come le opere degli altri due
amici artisti, Ferrigno e Rossi, perché incapsulano ardenti
sommovimenti, utili frazioni di ricerca e un’incontrovertibile
vertigine di riferimenti.
Con le ultime produzioni tende a
esplorare, ulteriormente, i limiti e i confini di una diversa
percezione dell’arte, il che non guasta.
Antonio Izzo non è, assolutamente,
ancorato alla tradizione, né è allineato alle morbide posizioni di
moda del momento, che nascono da interessi di mercato, ma spinge a
una risemantizzazione del telescopico astratto-geometrico.
Antonio Izzo ha dalla sua differenziate
esperienze e su queste ha sempre navigato consapevole per approdare a
una "cifra" di lettura, che vede l´uomo e il suo desiderio
di vita, convintamente, descritto in un accordo dai mille risvolti.
In tele e carte collega uomo e domani,
in un divenire senza tempo.
La moderna tecnologia e il suo status
avanzato sono controllati, esaminati e rilanciati in uno scenario
futuribile, tra rimandi e furbizie segniche.
La scienza sta progredendo a passi
sostenuti e incontenibili e, talvolta, si sostituisce o s’integra
nella potenza ambientale decretando problematiche, non effimere, e se
l’artista rileva, dalle membrature della natura e, chiaramente,
dalle sue trasformazioni, la ricaduta, in parallelo, geometricamente
funzionale determina aggettivate elaborazioni di temperamento
astratto.
La scena composta può sostanziare una
rapida sintesi e l´artista appronta e contestualizza, con mano
rapida e sicura, apparati e risultati in soluzioni
grafico-pittoriche, che stringe su formulazioni inquiete.
Ma anche singolari associazioni
intervengono in altre stesure.
Su dati aggregati, su bivalenze, su
comparazioni si muove la pittura di Antonio Izzo, tutta tesa a
sottolineare stime binarie, ricerche del doppio, strategie per
multiversioni.
E negli assemblaggi di materiali di
risulta combina ciò che è stato, anche, meccanicamente in azione,
con elementi segnico-cromatici d´indubbia, invitante, lusinga
estetica.
Tangibili pezzi vengono riproposti con
abilità per ridisegnare possibili rinascite.
Da condizioni obsolete si passa a
condizioni di vitalità visuale, suggerite da una creatività, e
cosciente.
Se il sistema aliena, il potere
dell’immaginazione può condurre altre verifiche e rinfrancare
altre segnalazioni, sino a riabilitare e a ripristinare il già
consumato per estendere una vita di fluttuanti segni , nonché
addizionate campiture.
Un sottile “stupor mundi” pervade
le opere di Antonio Izzo, che vengono fuori da un “mare magnum”
di situazioni e circostanze visive e, certamente, si sollevano
dall’anestesia etica collettiva e intendono significare, perché
vogliono dire ancora qualcosa, scivolando in un codice eminente e
franco.
Da equilibri sensibili a tecniche miste
indicative, di uno spedito “melting pot” culturale, si
sedimentano le dimensioni poetiche dell’artista impegnato a
pedinare preziosi sogni fantasmatici, attraverso incredibili
reliquati memoriali.
Queste opere di Antonio Izzo devono
essere lette con attenzione, perché crediamo che nelle sue
elaborazioni s'innalzi il cuore dell’arte, che inganna e rivolge a
sé la ragione della ricerca.
Antonio Izzo misura il suo tempo con
uno “screening” oculato, attento su tutto ciò che trova e che
può riabilitare.
In conclusione, possiamo segnalare che
reintegra la percezione dell’occhio estetico e riporta, con
candore, a vivificare il “fil rouge” dell’estrema esistenza di
segni incisi, di meccanismi riabilitati e di oggettive incidenze
astratte.
Insomma, converte, in un sistema
coordinato di tagli e pressioni, dimensioni e dispositivi, perché
vivano un seguito di un arco vitale.
Gianni Rossi, gioca, da sempre con
titoli orientati, talvolta intriganti, insomma appassionanti, e
puntualizza con precisa chiarezza la sua linea, sia grafica che
pittorica, che ha avuto, serie dopo serie, passo dopo passo, momento
dopo momento, enunciazioni chiare, esplicite, capaci, convinte e
persuasive, senza inganno alcuno.
Con disegni e chine ha affrontato tesi
e tematiche, indicate e registrate in libri e monografie esemplari.
Il vocabolario segnico-coloristico di
Gianni Rossi invita a pensare a uno “screening” puramente giocato
nello spazio dei contrappesi visivi, degli accordi cromatici e delle
sintesi geometrico-compositive.
Ma il peso, il valore degli impasti è
anche giocato, in maniera determinata con materie varie, che sceglie
con argute risoluzioni.
Ma sotto c’è una mappatura
metaforica e una geografia di combinazioni, puro traslato di
immaginazioni, in parte, e di assensi strutturali reali, per l’altra
buona metà; insomma, solo una lettura attenta, profonda, combinata
riesce a cogliere quanto di vigilato è sui piani partecipi della sua
pittura, che intende accogliere il mondo esterno, che filtra nella
sua anima e nelle sue acquisizioni mentali.
Ciò che è fuori pareggia con l’intimo
sentire.
Più volte, nel tempo, abbiamo scritto
su e per Gianni Rossi - basta vedere le indicazioni bibliografiche
dei suoi cataloghi - e sempre abbiamo posto l’accento sulla
predominanza di una voluta disposizione geometrica di base, combinata
ad accogliere un sostrato di matericità, nell’approccio con la
tela e con altri supporti.
Ma abbiamo anche informato, i lettori
di quotidiani e di riviste, su cui siamo intervenuti, che
nell’esercizio pittorico di Gianni Rossi s’espande, sulle
affinate e incidenti trame e sui dinamici e pulsanti orditi
astratto-geometrici, un pregevole dettato segnico, supportato da una
tensione poetica, che pone nel gioco compositivo allusioni di
racconti, sottilmente e variegatamente affabulanti, per rendere sensi
luministici.
La linea geometrica predominante
s’imbeve di tessuti materici, di estensioni logico-spaziali
armonizzate, amalgamate, connesse con spiriti di corporeità.
Insomma, la linea virtuosa s’aggancia a infrazioni materiche, a
palpitanti campiture, a reti ben impastate, dove s’estendono
motivazioni di ricerca sul senso della vita e sulla stessa pittura.
Crediamo, che, man mano, i suoi lavori
saranno sempre più apprezzati dal mondo della critica e ogni
opportuna occasione espositiva permetterà una sempre migliore
acquisizione del tracciato segnico-pittorico-poetico che valida un
percorso di attenzioni massime al mondo.
L’ attuale tracciato dall’artista
Gianni Rossi posiziona commenti e aperture. L’artista si sofferma,
in modo esteso, a contenere gli imbarazzi contemporanei e a
rilanciare possibili visioni di concordia.
Per l’artista ogni mostra è: “ …
Una raccolta di opere poste in sequenza, come un divenire di tempi e
realtà, di distanze e luoghi, con un costante approccio al
territorio, alla geografia di luoghi, alle luci e alle cromie della
realtà vissuta. …”.
Le sue tele si inseriscono nel filone
dell’astrattismo contemporaneo in cui a prevalere sono linee
segmentate e colori volutamente accesi, brillanti e squillanti,
attraverso l’uso di acrilici, collages, impasti di polvere di marmo
e di carta, e non solo.
Semplicemente, Gianni Rossi percorre le
strade dell’astrattismo di matrice lirica, in cui eleganze
curvilinee, fraseggi pittorici, ribattute articolazioni e consistenze
materiche sottolineano campiture gravide di umori e di verità,
mentre segni, segnacoli e segnali intercettano effetti ludici e
sorreggono i tagli più squisitamente geometrici in chiave astratta.
Gianni Rossi sa bene come portare
avanti la sua personale, garbata descrizione
astratto-lirico-geometrica all’interno delle ricerche delle
numerose onde astratto-informali, tanto da essere un punto di
riferimento per le nuove leve e motivo di studio per giovani studenti
universitari.
Ovviamente, è riuscito a determinare e
a definire una sua cifra di riconoscibilità, il che non è poco;
anzi, è quel molto che lo potrà sempre decisamente
contraddistinguere, ma non solo nella sua terra d’origine.
Chi studia l’astratto-lirico-geometrico
deve sapere che questo codice interpretativo è stato investigato e
reso da artisti di varie latitudini.
Gianni Rossi regola memoria e maniera,
riclassifica le tonalità dei colori, rimedia il senso del taglio per
agevolare aperture e uncinare valenze certe, in cui spessori rendono
profondità reali e, altre volte, cosmiche.
Riuscire, dopo tanti anni di integra ed
esperta carriera, a essere riconosciuto come valido interprete di un
segmento qualificato, che fa combaciare le estremità
dell’astrattismo lirico e dell’astrattismo geometrico, depone
tutto a suo favore.
Oggi, Gianni Rossi nella continuità di
una linea raffinata dell’arte si pone nella folta schiera delle
firme serie.
Il merito principale dell’artista è
di aver raccolto e riattivato le sue prese di coscienza in sviluppi
vitali con un esercizio quotidiano, di respiro e di metodo, che non
lo stanca.
Oggi, più di ieri, prosegue
nell’elaborare un circolo di riconsegne estetiche, consistenti e
condivise.
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