La prima Biennale Internazionale della
Calabria Citra, a Praia a Mare, mi ha permesso di conoscere meglio
Salvatore Pepe e il suo studio, ricco di dipinti, assemblaggi,
elaborazioni variegate, disegni, grafiche, nonché di altre opere e
oggetti d’arte e anche cataloghi; insomma, la BiCc riesce ad essere
volano di incontri e “focus” attivo sullo “status” dell’arte
italiana, e non solo.
L’artista, da consapevole
sperimentatore, frequenta l’uso di materiali inconsueti e naviga
nelle mescolanze e guarda a tutte le varie semantiche operative dalla
pittura materica al collage, dalle sobrietà del ready-made alle
rastremate estroflessioni plastiche.
Il suo interesse per la scenografia e
per il teatro l’ha portato a considerare gli apporti di altre
discipline con un raggio di attrazione e di misura sensibile utili a
redigere singolari testi visivi.
Dalla sua prima importante mostra, dove
si distinguevano oli, tavole, catrame, corde, chiodi, che,
icasticamente, siglavano una teoria di “SENZA TITOLO” , nella
“Sala San Severo” al Palazzo dei Priori a Perugia, nell’ottobre
del 1988, con il catalogo curato da Tonino Sicoli, sono passati
trent’anni, e non è poco; e ora un sunto riepilogativo della sua
estesa produzione, dettagliata nei riconosciuti plurimi segmenti,
definiti e specificati con opere consistenti e preziose, diventa
forza visiva esclamativa nel prestigioso spazio de “Il Triangolo”
di Cosenza, da quasi cinquant’anni orientato a predisporre mostre
di respiro, grazie alla direzione sagace e convinta di Enzo Le Pera -
anche brillante saggista e organizzatore di diamante di eventi
artistici e culturali -, ora passata al figlio Giorgio.
Nonostante le crisi che si sono
palesate Salvatore Pepe con decisa volontà operativa, in un silenzio
di febbrili intendimenti, ha proceduto a incamminarsi su percorsi non
sempre agevoli, ma di raffinata selezione, e, in un “sentimento di
difesa ad oltranza”, da resiliente, ha cercato di preservare
ricerca e fermezza di pensiero.
Ha operato, sempre per sintesi, in un
panorama artistico dalle mille perforanti incidenze e dalle mille
incipienti contraddizioni, quasi a preservare metodo e ingegno
valutativo.
Ha sempre pensato al giudizio critico
dell’idea che si fa immagine e ha guardato al futuro di un’immagine
dialogante, pervasiva, e mai altera.
Con sincera e fondata pronuncia ha
redatto acute notazioni, che hanno inciso nelle raggiunte soluzioni e
hanno distribuito una serie di appunti sulle pluralità linguistiche,
sviluppatesi lungo un trentennio.
In una rete di riferimenti diplomatici,
disegno e decoro si sono sommati e nella certezza di una
progettazione di intagli e specularità hanno indirizzato proiezioni
a 360° e hanno considerato e declinato riverberi utili.
L’artista, in fondo, ricerca e punta
a un catalogo esaustivo e con indubbia versatilità ordina una
dinamicità per manifestare e sostanziare una fisica e sincera
espressività di taglio astratto.
Supera le frontiere pittoriche per
assegnare a un “assett” di tagli e di perlustrazioni oggettive,
di grande carattere e di impegnata caratura esplorativa, un abbraccio
che leghi pittura, scultura e senso della scena visiva.
Salvatore
Pepe utilizza la linea per separare le indispensabili masse o le
studiate campiture cromatiche, ma anche il filo sottile, utile per le
separazioni, nella voglia dirimente di un’indispensabile necessità
virtuale, che, indiscutibilmente, vivifica e rinforza una redazione
giusta.
Materializza ambienti, atmosfere,
apparizioni di spiragli di luce, che corroborano la passione tematica
di cunei espressivi.
Gli eleganti e decisi tratti, che
denunciano solchi d’ombra, ricercano misteri, calati nell’anima.
Disegna confini e, nella composizione
di contrasti, esemplifica emozioni primarie.
I suoi dipinti sommano rispetto e
sviluppo segnico sino ad arrivare a determinazioni icastiche.
Dimensioni contratte o, di converso,
allargati riferimenti procedono a dimensionare analisi concettuali o
dilatazioni dello spirito, spinti a registrare sommovimenti migranti
di flussi di coscienza.
Raccoglie la lezione segnico-cromatica
di Yves Klein e quella spazio-pittorica di Mark Rothko e anche quella
di Aberto Burri, Lucio Fontana, Nato Frascà e del grande maieuta
Renato Barisani, come riferiva Enrico Crispolti, e vigila tra il
dentro e il fuori, tra il passato e il presente, tra l’apparire e
l’essere; quindi, una sottile filigrana di battiti e palpiti
diventa, straordinariamente, narrante.
Nei suoi dipinti ultimi l’eleganza
dell’esecuzione lo pone tra i migliori artisti italiani; energia,
emozioni, coinvolgimenti esistenziali s’avvertono, ma, ancor di
più, emergono le forme nette, necessarie che si prodigano a vincere
una neutralità per, poi, diventare protagoniste di un’attività
proiettiva di equilibri, quale valutazione e determinazione del
pensiero umano.
La modulata consegna, in composizioni
ben impostate, di sottigliezze semantiche e di ricalchi
metalinguistici chiarisce elaborazioni incisive.
Livelli combinati si dispongono per
acquisire la dimensione della ricerca dell’artista, che,
seriamente, produce, per transiti calibrati, con estrema riflessione
mettendosi sempre in discussione.
Non mancano aperture flessibili e
autentici iati inediti, che sostanziano le sue ultime disposizioni,
che ricombinano equilibrate puntualizzazioni e segnano la ricerca di
piste incisive.
Nella logica del “work in progress”
arriva a stabilire iterazioni significative del suo guardare il mondo
e a desumere il suo potere evocativo, collocandolo in uno spazio
ludico di un tempo apparente.
Punta all’armonia e, rilevando
dettagli su dettagli, accorda il suo “sentire il mondo”, come
segnalato prima.
Da cicli, resi emblematici per forma e
contenuto, passa, dal concettualmente avvertito, a guardare
all’informale avveduto, all’astratto conscio e informato.
Incoraggiato dall’arte povera e dalla
combinazione coagulante dell’astrazione-concettuale, ha pilotato la
voglia estrema della ragione e in una molteplicità sorgiva ha
controbilanciato idee per far percorrere vitalità inedite e
chiarezze di coscienza verso risoluzioni informali intense e nitide
consistenze astratte.
Il suo piacere è partecipativo, il suo
domani pittorico continua nella sintesi.
Non tralascia la fondamentale attività,
sottolineata da dinamicità esplorative.
Paesaggi dell’anima si fanno storia e
interpretano momenti “clou”.
Le immagini della sua redazione
pittorica sfumano in una psicologia di sospensioni e pause discrete
indicano strade del domani.
Combinazioni d’impronte e ponderate
cadenze trasferiscono esiti di vibrazioni e rapidità sequenziali
costellano un immaginario.
Dimensioni di estensioni informali
monitorano dilatazioni psicologiche ed eleganti ventagli memoriali
attualizzano movimenti di carattere introspettivo.
Le sue opere contaminate da umori
attivi e gemmazioni sensibili generano considerazioni sull’attualità;
insomma, trasparenze, impressioni, velature, segni, segnacoli,
segnature provano a scavalcare nuove frontiere!
Coniugazioni
astratto-liriche, invece, valorizzano dinamiche e sorprendenti
proiezioni e singolari, audaci aggettazioni diagonali regolano
emozioni inseguite e liberano sussulti e vibrazioni.
Intende continuare questi motivi di
oculata ricerca e con distribuito garbo e con un registro alto di
eleganze semantiche redige composizioni con ben suddivise e
amalgamate colorazioni.
Sono pagine elegantemente ritmiche,
senza astensione cromatica, e motivano cadenze equilibrate in precisi
posizionamenti, obliqui, inclinati e trasversali.
Salvatore Pepe riesce ad ampliare le
sue vedute, regola tempi e circostanze visive e si accerta, in un
fare e in un divenire, sempre composto e determinato, di incapsulare
temi degni e di estroflettere meditati rilasci.
L’artista centralizza sfondi icastici
da cui si proiettano esemplari rimandi e frame dopo frame,
trasparenze fantasmatiche si aprono ad accogliere segmenti e tratti
pittorici che formano una teoria avvolgente di sensi.
Ragionatissimi passaggi intendono,
ovviamente, cribrare personalissimi studi del tangibile mentale e
restituire un tempo “possibile” per agganciare credibili intese;
la sua volontà s’appunta e si fa sponda di riferimento di
coscienza.
Un sapere di equilibri ideativi e
cromatici ben affronta la tensione interpretativa di quote di
sperimentazioni per raggiungere fasce d’interattività e per
suscitare relazioni condivise.
Linea e materia pittorica,
nell’elaborazione della composizione li rapporta con lo spazio
circostante e le poche ed essenziali contaminazioni irrorano un
tessuto mentale di connessioni per relazionarsi.
I suoi lavori ben rimarcano l’energia
della materia e si frantumano in tracciamenti cinetici, su cui si
classificano visioni diversificate di sentimenti appropriati e di
atmosfere calamitanti, giocate tra chiarori e oscurità.
Il suo valido percorso di ricerca va
avanti, perché crede nell’evoluzione del suo “sentire” il
mondo.
I suoi assunti, nel tempo, concettuali
o informali o astratti, ricordano il ventaglio delle proiezioni
mentali, delle visceralità del paesaggio e delle sollecitazioni
ideative e le profondità spaziali dei tagli danno smalto alle
esplicitazioni dell’anima e a temi di luce in correnti di
nitidezze.
Il suo procedere non è “glam” e le
sue incursioni attivano orizzonti di parabole discrete, che ci fanno
meglio comprendere memoria e contemporaneità.
Chi siamo e cosa saremo, quindi status
pregresso e futuro possibile, alimentano il fluire, in parte sorgivo
e in gran parte studiato, che accoglie un linguaggio spedito e senza
remore.
In conclusione, altri artisti che si
copiano in una forma di selfie perenne non virtuale, ma
auto-celebrativo, sono da scartare di fronte alla dimensione del
brivido del respiro intellettuale di Salvatore Pepe, di forte
significazione e impatto, che governa un gioco “sottile” di segni
e campiture, che svela la concretezza di concetti in un arco
comunicativo, che manifesta pulsazioni critiche.
Maurizio Vitiello
Napoli, 2018
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