lunedì 3 dicembre 2018

FRONTIERE OLTRE LA PITTURA - Maurizio Vitiello

La prima Biennale Internazionale della Calabria Citra, a Praia a Mare, mi ha permesso di conoscere meglio Salvatore Pepe e il suo studio, ricco di dipinti, assemblaggi, elaborazioni variegate, disegni, grafiche, nonché di altre opere e oggetti d’arte e anche cataloghi; insomma, la BiCc riesce ad essere volano di incontri e “focus” attivo sullo “status” dell’arte italiana, e non solo.
L’artista, da consapevole sperimentatore, frequenta l’uso di materiali inconsueti e naviga nelle mescolanze e guarda a tutte le varie semantiche operative dalla pittura materica al collage, dalle sobrietà del ready-made alle rastremate estroflessioni plastiche.
Il suo interesse per la scenografia e per il teatro l’ha portato a considerare gli apporti di altre discipline con un raggio di attrazione e di misura sensibile utili a redigere singolari testi visivi.
Dalla sua prima importante mostra, dove si distinguevano oli, tavole, catrame, corde, chiodi, che, icasticamente, siglavano una teoria di “SENZA TITOLO” , nella “Sala San Severo” al Palazzo dei Priori a Perugia, nell’ottobre del 1988, con il catalogo curato da Tonino Sicoli, sono passati trent’anni, e non è poco; e ora un sunto riepilogativo della sua estesa produzione, dettagliata nei riconosciuti plurimi segmenti, definiti e specificati con opere consistenti e preziose, diventa forza visiva esclamativa nel prestigioso spazio de “Il Triangolo” di Cosenza, da quasi cinquant’anni orientato a predisporre mostre di respiro, grazie alla direzione sagace e convinta di Enzo Le Pera - anche brillante saggista e organizzatore di diamante di eventi artistici e culturali -, ora passata al figlio Giorgio.

Nonostante le crisi che si sono palesate Salvatore Pepe con decisa volontà operativa, in un silenzio di febbrili intendimenti, ha proceduto a incamminarsi su percorsi non sempre agevoli, ma di raffinata selezione, e, in un “sentimento di difesa ad oltranza”, da resiliente, ha cercato di preservare ricerca e fermezza di pensiero.
Ha operato, sempre per sintesi, in un panorama artistico dalle mille perforanti incidenze e dalle mille incipienti contraddizioni, quasi a preservare metodo e ingegno valutativo.
Ha sempre pensato al giudizio critico dell’idea che si fa immagine e ha guardato al futuro di un’immagine dialogante, pervasiva, e mai altera.
Con sincera e fondata pronuncia ha redatto acute notazioni, che hanno inciso nelle raggiunte soluzioni e hanno distribuito una serie di appunti sulle pluralità linguistiche, sviluppatesi lungo un trentennio.
In una rete di riferimenti diplomatici, disegno e decoro si sono sommati e nella certezza di una progettazione di intagli e specularità hanno indirizzato proiezioni a 360° e hanno considerato e declinato riverberi utili.
L’artista, in fondo, ricerca e punta a un catalogo esaustivo e con indubbia versatilità ordina una dinamicità per manifestare e sostanziare una fisica e sincera espressività di taglio astratto.
Supera le frontiere pittoriche per assegnare a un “assett” di tagli e di perlustrazioni oggettive, di grande carattere e di impegnata caratura esplorativa, un abbraccio che leghi pittura, scultura e senso della scena visiva.


Salvatore Pepe utilizza la linea per separare le indispensabili masse o le studiate campiture cromatiche, ma anche il filo sottile, utile per le separazioni, nella voglia dirimente di un’indispensabile necessità virtuale, che, indiscutibilmente, vivifica e rinforza una redazione giusta.
Materializza ambienti, atmosfere, apparizioni di spiragli di luce, che corroborano la passione tematica di cunei espressivi.
Gli eleganti e decisi tratti, che denunciano solchi d’ombra, ricercano misteri, calati nell’anima.
Disegna confini e, nella composizione di contrasti, esemplifica emozioni primarie.
I suoi dipinti sommano rispetto e sviluppo segnico sino ad arrivare a determinazioni icastiche.
Dimensioni contratte o, di converso, allargati riferimenti procedono a dimensionare analisi concettuali o dilatazioni dello spirito, spinti a registrare sommovimenti migranti di flussi di coscienza.
Raccoglie la lezione segnico-cromatica di Yves Klein e quella spazio-pittorica di Mark Rothko e anche quella di Aberto Burri, Lucio Fontana, Nato Frascà e del grande maieuta Renato Barisani, come riferiva Enrico Crispolti, e vigila tra il dentro e il fuori, tra il passato e il presente, tra l’apparire e l’essere; quindi, una sottile filigrana di battiti e palpiti diventa, straordinariamente, narrante.
Nei suoi dipinti ultimi l’eleganza dell’esecuzione lo pone tra i migliori artisti italiani; energia, emozioni, coinvolgimenti esistenziali s’avvertono, ma, ancor di più, emergono le forme nette, necessarie che si prodigano a vincere una neutralità per, poi, diventare protagoniste di un’attività proiettiva di equilibri, quale valutazione e determinazione del pensiero umano.
La modulata consegna, in composizioni ben impostate, di sottigliezze semantiche e di ricalchi metalinguistici chiarisce elaborazioni incisive.
Livelli combinati si dispongono per acquisire la dimensione della ricerca dell’artista, che, seriamente, produce, per transiti calibrati, con estrema riflessione mettendosi sempre in discussione.
Non mancano aperture flessibili e autentici iati inediti, che sostanziano le sue ultime disposizioni, che ricombinano equilibrate puntualizzazioni e segnano la ricerca di piste incisive.

Nella logica del “work in progress” arriva a stabilire iterazioni significative del suo guardare il mondo e a desumere il suo potere evocativo, collocandolo in uno spazio ludico di un tempo apparente.
Punta all’armonia e, rilevando dettagli su dettagli, accorda il suo “sentire il mondo”, come segnalato prima.
Da cicli, resi emblematici per forma e contenuto, passa, dal concettualmente avvertito, a guardare all’informale avveduto, all’astratto conscio e informato.
Incoraggiato dall’arte povera e dalla combinazione coagulante dell’astrazione-concettuale, ha pilotato la voglia estrema della ragione e in una molteplicità sorgiva ha controbilanciato idee per far percorrere vitalità inedite e chiarezze di coscienza verso risoluzioni informali intense e nitide consistenze astratte.
Il suo piacere è partecipativo, il suo domani pittorico continua nella sintesi.
Non tralascia la fondamentale attività, sottolineata da dinamicità esplorative.
Paesaggi dell’anima si fanno storia e interpretano momenti “clou”.
Le immagini della sua redazione pittorica sfumano in una psicologia di sospensioni e pause discrete indicano strade del domani.
Combinazioni d’impronte e ponderate cadenze trasferiscono esiti di vibrazioni e rapidità sequenziali costellano un immaginario.
Dimensioni di estensioni informali monitorano dilatazioni psicologiche ed eleganti ventagli memoriali attualizzano movimenti di carattere introspettivo.
Le sue opere contaminate da umori attivi e gemmazioni sensibili generano considerazioni sull’attualità; insomma, trasparenze, impressioni, velature, segni, segnacoli, segnature provano a scavalcare nuove frontiere!
Coniugazioni astratto-liriche, invece, valorizzano dinamiche e sorprendenti proiezioni e singolari, audaci aggettazioni diagonali regolano emozioni inseguite e liberano sussulti e vibrazioni.
Intende continuare questi motivi di oculata ricerca e con distribuito garbo e con un registro alto di eleganze semantiche redige composizioni con ben suddivise e amalgamate colorazioni.
Sono pagine elegantemente ritmiche, senza astensione cromatica, e motivano cadenze equilibrate in precisi posizionamenti, obliqui, inclinati e trasversali.
Salvatore Pepe riesce ad ampliare le sue vedute, regola tempi e circostanze visive e si accerta, in un fare e in un divenire, sempre composto e determinato, di incapsulare temi degni e di estroflettere meditati rilasci.

L’artista centralizza sfondi icastici da cui si proiettano esemplari rimandi e frame dopo frame, trasparenze fantasmatiche si aprono ad accogliere segmenti e tratti pittorici che formano una teoria avvolgente di sensi.
Ragionatissimi passaggi intendono, ovviamente, cribrare personalissimi studi del tangibile mentale e restituire un tempo “possibile” per agganciare credibili intese; la sua volontà s’appunta e si fa sponda di riferimento di coscienza.
Un sapere di equilibri ideativi e cromatici ben affronta la tensione interpretativa di quote di sperimentazioni per raggiungere fasce d’interattività e per suscitare relazioni condivise.
Linea e materia pittorica, nell’elaborazione della composizione li rapporta con lo spazio circostante e le poche ed essenziali contaminazioni irrorano un tessuto mentale di connessioni per relazionarsi.
I suoi lavori ben rimarcano l’energia della materia e si frantumano in tracciamenti cinetici, su cui si classificano visioni diversificate di sentimenti appropriati e di atmosfere calamitanti, giocate tra chiarori e oscurità.

Il suo valido percorso di ricerca va avanti, perché crede nell’evoluzione del suo “sentire” il mondo.
I suoi assunti, nel tempo, concettuali o informali o astratti, ricordano il ventaglio delle proiezioni mentali, delle visceralità del paesaggio e delle sollecitazioni ideative e le profondità spaziali dei tagli danno smalto alle esplicitazioni dell’anima e a temi di luce in correnti di nitidezze.
Il suo procedere non è “glam” e le sue incursioni attivano orizzonti di parabole discrete, che ci fanno meglio comprendere memoria e contemporaneità.
Chi siamo e cosa saremo, quindi status pregresso e futuro possibile, alimentano il fluire, in parte sorgivo e in gran parte studiato, che accoglie un linguaggio spedito e senza remore.
In conclusione, altri artisti che si copiano in una forma di selfie perenne non virtuale, ma auto-celebrativo, sono da scartare di fronte alla dimensione del brivido del respiro intellettuale di Salvatore Pepe, di forte significazione e impatto, che governa un gioco “sottile” di segni e campiture, che svela la concretezza di concetti in un arco comunicativo, che manifesta pulsazioni critiche.

Maurizio Vitiello
Napoli, 2018

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