Insieme alla padrona di casa Ilia
Tufano, cui si deve l’immagine di copertina, saranno presenti i
componenti della redazione e alcuni degli autori e degli artisti che
hanno dato il loro contributo: Daniela Allocca, Viola Amarelli, Black
Napkin, Paola Di Gennaro, Lino Fiorito, Costanzo Ioni, Luigi
Trucillo.
Il numero, che
come accade spesso nei più recenti fascicoli, ha un’impostazione
monografica, è incentrato sul tema dell’errore, inteso nella sua
accezione di fattore necessario allo sviluppo vitale: “ed è, tutte
le volte, errore sanguinoso e proficuo allo stesso tempo. Almeno tre
i possibili contesti di senso: quello, per così dire,
geografico-spaziale; quello linguistico-letterario; quello
esistenziale. Gli autori che abbiamo convocato per questo numero
della rivista, proponendo loro una lista di libere associazioni da
cui era possibile partire, o allontanarsi, si sono disposti, grosso
modo, lungo queste tre linee direzionali”, si legge
nell’editoriale.
LEVANIA 8 accoglie testi e immagini di
autori italiani e stranieri di diverse generazioni, scelti tra i più
significativi interpreti della letteratura e delle arti: poeti e
studiosi, traduttori e artisti quali Nanni Cagnone e Lino Fiorito,
Luigi Trucillo, Camilla Maria Cederna e Mohamed Moksidi, Daniela
Allocca e Uljana Wolf, Costanzo Ioni e Viola Amarelli, Tommaso Di Dio
con Linda Carrara e Giulio Zanet, Luca Ariano e Black Napkin, Andrea
Donaera e Daniela Pericone, Paola Di Gennaro, Franca Mancinelli e
Laura Di Corcia, Claudio Coltorti e Fabrizio Maria Spinelli.
Accanto a loro, e con loro in dialogo
con parole e figure, i redattori di LEVANIA: Marco De Gemmis, Carmine
De Falco, Emmanuel Di Tommaso, Eugenio Lucrezi, Paola Nasti, Antonio
Perrone, Enzo Rega, Marisa Papa Ruggiero, Enza Silvestrini.
Concludono il numero le recensioni a
libri recenti di Nanni Cagnone, Jolanda Insana, Lella De Marchi,
Giovanna Cristina Vivinetto, Giulia Niccolai e Vincenzo Mascolo.
LEVANIA 8, l’editoriale:
Un padre, volendo insegnare al figlio
ad essere meno pauroso, lo fa saltare dai gradini di una scala. Lo
mette in piedi sul secondo gradino e gli dice: “Salta, che ti
prendo”. Il bambino salta. Poi lo piazza sul terzo gradino,
dicendo: “Salta, che ti prendo”. Il bambino ha paura ma, poiché
si fida del padre, fa come questo gli dice e salta tra le sue braccia
salta. Quindi il padre lo sistema sul quarto gradino, e poi sul
quinto, dicendo ogni volta: “Salta, che ti prendo”, e ogni volta
il bambino salta e il padre lo afferra prontamente. Continuano così
per un po’. A un certo punto il bambino è su un gradino molto in
alto, ma salta ugualmente, come in precedenza; questa volta però il
padre si tira indietro, e il bambino cade lungo e disteso. Mentre,
tutto sanguinante e piangente si rimette in piedi, il padre gli dice:
“Così impari: mai fidarti di un ebreo, neanche se è tuo padre”.
Con questa storiella, tratta dallo sconfinato repertorio dello
jiddischer Witz, comincia un famoso saggio di J. Hillman, Puer
Aeternus, dedicato al tema del tradimento. Senza tradimento, senza
che il padre tradisca il figlio nell’abbandono, non c’è
fuoriuscita dall’infanzia. Non nasce nulla se non dalla rottura
dell’unità idilliaca dell’innocenza. La vita comincia con la
fuoriuscita dall’Eden; con l’errore fatale di tentare il frutto
della conoscenza. Innocenza e conoscenza sono due termini antitetici,
due alberi che non possono coesistere nello stesso giardino.
L’errore si inserisce nella necessità stessa dello sviluppo
vitale. Ed è, sempre, errore sanguinoso e proficuo allo stesso
tempo.
Almeno tre i possibili contesti di
senso: quello, per così dire, geografico-spaziale; quello
linguistico-letterario; quello esistenziale. Gli autori che abbiamo
convocato per questo numero della rivista, proponendo loro una lista
di libere associazioni da cui era possibile partire, o allontanarsi,
si sono disposti, grosso modo, lungo queste tre linee direzionali.
In primo luogo, errore è errare,
erranza; sperdimento in territori dello spazio o del tempo, della
mente o del pianeta; migrazione ed esilio; allontanamento dalla
certezza e dalla fiducia, di una patria o di una origine. In questo
senso hanno interpretato il tema Camilla Cederna e Mohamed Moksidi –
vittime proprio loro di una disattenzione redazionale che nel
precedente numero di Levania, a causa di un errore in fase di stampa
legato al misconoscimento del font tipografico utilizzato nel testo
in lingua araba, aveva trasformato i caratteri in segni
incomprensibili, quasi un campione di involontario asemic writing.
L’allontanamento dal padre e dall’origine familiare è alla base
del testo, desolato e robusto, di Andrea Donaera, che rimanda alla
precarietà esistenziale di un’intera generazione, quella di cui il
poeta è parte anagraficamente; Luca Ariano, poeta di poco meno
giovane dell’autore salentino, ci racconta piuttosto
l’allontanamento dalla condizione naturale ad opera di uno sviluppo
tecnologico ed economico necrotizzante. Nella direzione che affronta
il naufragio esistenziale Daniela Pericone si esprime in un testo in
prosa che rimanda all’autoesilio e al fallimento: l’aver mancato
la vita, l’allontanarsi da essa e il perderla sono possibilità
stesse di una vita altra; anche la poesia, in inglese e in italiano,
di Paola Di Gennaro insiste, tra stupore e sforzo prospettico, sullo
smottamento esistenziale, sul décalage e sulle intersezioni tra vita
privata e vicenda storica. L’errore viene declinato nelle forme
dell’esclusione e della solitudine nelle capsule di Enza
Silvestrini, dove lo sbaglio e la colpa si traducono nella pena
della reclusione, anche carceraria, e di una distanza da segrete
stanze; ancora sul piano esistenziale, nella poesia di Franca
Mancinelli il misconoscimento e la distrazione pare vadano a
costituire, per misteriose strade, il sempreverde della relazione
umana. Il testo di Nanni Cagnone è, su un livello di significati
profondi, oltremodo icastico: l’allontanamento e il romitaggio
indicano e implicano il riferimento a un altro allontanamento, questa
volta storico ed epocale: quello che fa del linguaggio e della
scrittura il tradimento di quel “pensiero a dieci dita” che,
almeno fino al Neolitico, rendeva viva l’esperienza. In tal senso
l’errore, ineludibile, rimanda direttamente al difetto
dell’esperienza, al suo indebolimento, al suo impoverirsi proprio
nel momento in cui la vita dell’animale uomo si traduce in
articolazioni linguistico-comunicative nuove e complesse.
L’allontanamento dall’immediatezza è perdita irreparabile e
acquisto di un orizzonte di complessità, allo stesso tempo;
impoverimento e arricchimento mordono ciascuno la coda dell’altro e
non c’è (dis)avventura linguistica, o letteraria, che non finisca
per esaltare questa contraddizione. La poesia di Uljiana Wolf sembra
gemmare tutta proprio dal terreno fertile dell’errore linguistico;
l’autrice tedesca, traduttrice dall’inglese e dalle lingue
slave, nel 2009 pubblicò, appunto, una silloge intitolata falsche
Freunde, gli amici fasulli che i principianti nello studio di una
lingua straniera si ritrovano davanti a ostacolare, e a promuovere,
al tempo stesso, l’apprendimento. I falsi amici linguistici, i
traditori che depistano la comprensione, sono anche i potenziatori
del linguaggio, detonatori di significati oscuri e inconsci; e questo
è proprio il pane quotidiano del fare poesia. Chi si occupa di
traduzione e scrive poesia esprime la quintessenza di questo
prolifico errore. In questa direzione si muove il testo di Viola
Amarelli, che si impiglia nelle maglie della lingua estraendone
iridescenti colori: la fallacia falotica del fallo. il fallimento.
Sullo stesso registro, che gioca col lapsus e il calembour, con
l’autocensura e i suoi rocamboleschi e psicoanalitici svolgimenti,
si arrampica agilmente la vicenda degli errori di Marco de Gemmis,
mentre l’atto mancato, l’errore prossemico che impedisce
l’incontro, il falsche Bewegung che separa due mani nell’atto di
un prossimo congiungimento, forniscono l’incipit della poesia di
Costanzo Ioni. Laura Di Corcia racconta in prosa alcuni dei percorsi
che è possibile immaginarsi, solo a postulare l’errore quale
innesco e motore di una Storia, anche letteraria; mentre sul
dinamismo, sul falso movimento che anima l’immagine e ogni
figurazione artistica, la sua solo apparente staticità, è
incentrata la meditazione estetica di Tommaso Di Dio.
Il numero sarebbe molto più povero
–anzi: sbagliato, molto più di quanto ora si presenti– senza il
contributo degli artisti visivi che abbiamo invitato e che sono
venuti ad offrire, in dialogo e a contrappunto con la pagina scritta,
la testimonianza varia e ricca delle loro opere, vere e proprie
suscitatrici di significati. Poesia e figura, d’altro canto, sono
nate insieme all’inizio dei tempi, e non smettono di specchiarsi
l’una nell’altra. Grazie, dunque, a Lino Fiorito e a Black
Napkin, a Emmanuel Di Tommaso e a Giulio Zanet, a Linda Carrara e a
Claudio Coltorti.
e.l., p.n.
www.levania.it
levaniapoesia@gmail.com
COME DA COMUNICAZIONE RICEVUTA
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