La Preistoria e Protostoria presenta al
pubblico 3.000 reperti Otto sale per un’esposizione permanente, su
tre livelli, di oltre 1000mq Dal Paleolitico Inferiore all’Età del
Ferro, uno straordinario racconto che parte da 450mila anni fa Nuovi
manufatti in mostra con un aggiornamento della comunicazione e della
grafica.
Tre livelli per seguire le grandi tappe
della vita dell’uomo, dalla Preistoria alla Protostoria: si procede
a ritroso, partendo dal piano più alto, che racchiude i reperti dal
Paleolitico Inferiore all’Eneolitico; si passa attraverso uno
spazio intermedio, che racconta l’Età del Bronzo; allo “stadio”
ancora più basso, focus espositivo sull’Età del Bronzo medio e
finale e sulla prima Età del Ferro. La riapertura della sezione
“Preistoria e Protostoria”, non più fruibile nel Museo
Archeologico Nazionale di Napoli dalla fine del secolo scorso, è un
viaggio in cui i millenni appaiono come piccole tessere di un
mosaico: il trascorrere di un amplissimo lasso temporale, da 450mila
anni fa sino al VII sec. a.C., è scandito da circa 3.000 reperti,
che testimoniano le evoluzioni dell’intelligenza e, dunque,
dell’abilità umana. Otto sale per un’esposizione permanente di
oltre 1.000 mq, che si innesta in un luogo simbolo del MANN: gli ampi
ambienti, che ospitano la sezione, restano quelli dell’allestimento
del 1995 e sono contigui al Salone della Meridiana. Nel percorso di
visita si palesa il legame, ideale e reale al tempo stesso, con le
collezioni di “MANN at work”, Museo che cresce: dal piano
intermedio della sezione “Preistoria e Protostoria”, infatti, ci
si “affaccia” letteralmente sulle sale della Collezione Magna
Grecia, restituita alla fruizione, con i suoi capolavori e gli
straordinari pavimenti musivi, dopo un silenzio di oltre un
ventennio. Ed il cerchio non si chiuderà qui: dalla Preistoria e
Protostoria si dipanerà, infatti, l’itinerario “topografico”
che porterà all’inaugurazione della sezione su Cuma (dicembre
2021) ed a quella su Neapolis (dicembre 2022).
‘’Un racconto nuovo per il cammino
più antico dell’uomo: con la riapertura della sezione Preistoria e
Protostoria ritroviamo, dopo un quarto di secolo, il senso di una
collezione identitaria del nostro MANN. Grazie ad un imponente e
meticoloso lavoro di riallestimento e valorizzazione dei preziosi
reperti campani e meridionali, per il visitatore da oggi sarà più
facile orientarsi tra le ere, comprendere l’evoluzione umana ma
anche approfondire la conoscenza del nostro territorio e immaginare
quando nel Paleolitico, per fare solo un esempio, l’isola di Capri,
tutt’uno con la terra, era abitata da ippopotami e rinoceronti.
Quella della Preistoria vogliamo sia una sezione viva: dal prossimo
aprile, ospiterà la sua prima mostra site specific, dedicata al
maestro del fumetto francese Moebius, in collaborazione con COMICON.
Perché, così come nell’arte (da Cézanne a Pablo Picasso a Paul
Klee, da Joan Miró fino a Keith Haring), c’è tanta preistoria
anche nella cultura contemporanea e nel nostro immaginario ‘pop’.
Basti pensare alla scena iniziale di ‘2001 Odissea nello spazio’
di Stanley Kubrik, all’osso scagliato dall’ominide primitivo
sulle note di Also sprach Zarathustra; all’uomo del futuro di
Breadbury che, escursionista nella preistoria, provoca l’effetto
farfalla; e ancora, ai cartoon della nostra infanzia, dagli Antenati
all’Era Glaciale e i Croods, ma anche al ‘Il più grande uomo
scimmia del Pleistocene’ di Roy Lewis, e a tanto cinema da ‘Nel
mondo perduto’ a ‘Jurassik park’. Ad ognuno quindi le sue
suggestioni, con l’ invito per il pubblico di ogni età a
ritrovarle e a riflettere sulle origine dell’uomo in percorso
scientifico chiaro e coinvolgente. La storia prima della storia torna
quindi nelle sale del MANN e ad accompagnare questa tappa importante
nella crescita del Museo continua fino al 31 maggio, in esclusiva
italiana, l’exhibition Lascaux 3.0”, commenta il Direttore del
MANN, Paolo Giulierini.
Così, il lavoro di riallestimento
della Preistoria e Protostoria (a cura di Floriana Miele, Giovanni
Vastano ed Emanuela Santaniello, funzionari archeologi del MANN) ha
rispettato le specificità della sezione, pur procedendo ad un
necessario aggiornamento: se i reperti sono presentati secondo un
criterio diacronico e per contesti, rendendo ancora più rigoroso il
piano espositivo degli anni Novanta, le innovazioni si riscontrano
nella selezione di alcuni manufatti in mostra, così come nella
divulgazione scientifica e nella didattica. Nel patrimonio
archeologico risalente al Paleolitico, infatti, sono stati inclusi
cinquanta reperti, che, conservati nei depositi del Museo e mai
esposti in passato, sono costituiti da materiale litico proveniente
dall’alto Casertano. Ancora, è stato aggiornato il format della
comunicazione museale, secondo i più recenti orizzonti di studio:
dalle presentazione delle campagne di scavo all’analisi dei
contesti archeologici, dal focus su temi specifici (ad esempio, gli
insediamenti, i riti funerari, l’agricoltura, la caccia, la
metallurgia) al racconto prettamente diacronico, la sezione
Preistoria e Protostoria del MANN coniuga il rigore dell’approccio
scientifico con l’immediatezza nella divulgazione dei contenuti.
Così il visitatore, proprio ad inizio percorso, è accolto da una
lunga e verticale linea del tempo, per mostrare, nell’immediatezza
della prospettiva sinottica, la successione, soltanto apparentemente
remota ed indefinibile, di Età diverse: eppure non soltanto le
epoche, ma anche i luoghi sono i protagonisti della sezione
“Preistoria e Protostoria” del MANN. Le migliaia di reperti in
mostra, infatti, restituiscono un quadro sfaccettato del patrimonio
archeologico campano: tutte le aree dell’attuale regione, dal
casertano all’avellinese, dal beneventano alla provincia di Napoli,
senza escludere la costiera sorrentina e le isole, rappresentano un
territorio dinamico, sempre più proteso verso scambi di tipo
commerciale e culturale. Nella sezione, inoltre, le illustrazioni
dello storico dell’arte Giorgio Albertini contribuiscono a dare un
volto all’uomo della preistoria e della protostoria: con il
coordinamento scientifico dei funzionari del MANN, Albertini ha
ricostruito fisionomie, abbigliamento, paesaggi, ambientazioni,
“traducendo” i dati di scavo nel disegno realizzato prima su
carta, poi su supporti digitali.
Storia di una sezione: dal seminterrato
del Museo ai grandi spazi a ridosso della Meridiana Oltre cento anni
di acquisizioni di reperti, ricerche, allestimenti 1908: al piano
seminterrato del Museo Archeologico Nazionale di Napoli è presentato
un primo allestimento permanente dedicato alla Preistoria.
Riflettendo un nuovo orizzonte disciplinare in stretto rapporto con
gli sviluppi tardo-ottocenteschi e primo- novecenteschi della
geologia, paleontologia e paletnologia, in due sale confluiscono
diversi materiali: manufatti litici provenienti dall’India e
dall’Egitto, donati all’istituto da H. V. Seton Karr; reperti
frutto delle ricerche di Paolo Carucci e Giovanni Patroni, che
studiano le Grotte di Pertosa e dello Zachinto in provincia di
Salerno, portando alla luce materiali dell’Età del Bronzo, da
presentare in un allestimento topografico (mai realizzato); corredi
funerari da Cuma e dalla Valle del Sarno, risalenti all’Età del
Ferro ed entrati a far parte del patrimonio museale a seguito di
acquisti, lasciti ed interventi d’emergenza legati a scavi
clandestini. Sono gli scavi di Italo Sgobbo ed Ugo Rellini, tra 1920
e 1930, a determinare l’ampliamento della sezione, che, nel 1934, è
organizzata secondo un criterio cronologico, aggiungendo due sale al
progetto iniziale: nuove testimonianze erano entrate a far parte del
patrimonio museale, a seguito del recupero di ingenti quantità di
materiali dalle cave di gesso in località “La Starza” ad Ariano
Irpino. Anche le ricerche nella Grotta delle Felci a Capri,
importante giacimento del Neolitico, così come l’esplorazione
delle tombe eneolitiche nella frazione Madonna delle Grazie di
Mirabella Eclano, avevano incrementato, in modo significativo, non
soltanto il numero dei reperti, ma anche i contesti territoriali di
riferimento per ampliare le maglie dell’indagine storica ed
archeologica. Si deve a Giorgio Buchner, tra 1936 e 1937,
l’individuazione dei siti dell’Età del Bronzo sull’isola di
Vivara: quest’area sarebbe stata indagata, in modo sistematico,
soltanto quarant’anni dopo, grazie alla rete scientifica stabilita
dall’Università “La Sapienza” di Roma e dall’Università
degli Studi “Suor Orsola Benincasa” di Napoli. Anche durante la
Seconda Guerra Mondiale, sono svelate significative tracce degli
insediamenti preistorici in Campania: tra 1943 e 1944, in modo
fortuito, il tenente John Brinson riviene un’area cimiteriale in
località Spina-Gaudo (Paestum), oggetto di scavo, da parte di
Pellegrino Claudio Sestieri, tra 1945 e 1947. Il patrimonio della
sezione “Preistoria” del Museo si arricchisce, raccogliendo
testimonianze preziose, provenienti da diverse aree della Campania:
le scoperte si susseguono con i saggi stratigrafici sul Monte
Camposauro, nel Beneventano, e con il recupero di due sepolture
eneolitiche nel quartiere napoletano di Materdei. Sempre nel
dopoguerra, al Museo sono donati importanti reperti appartenuti al
Marchese Marcello Spinelli di Scalea che, a fine Ottocento, aveva
fatto scavare nei terreni di sua proprietà, ad Acerra, numerose
tombe dell’Età del Ferro nella necropoli dell’antica Suessula.
La ricchezza delle testimonianze acquisite richiede, tra 1950 e 1959,
un ampliamento degli ambienti dedicati all’esposizione permanente,
preannunciando un rinnovato impulso di studio, caratteristico degli
anni Sessanta. Così, sotto l’egida dell’allora Soprintendenza
Archeologica di Napoli e Caserta, Werner Johannowsky effettua
indagini sistematiche nei sepolcreti dell’antica Capua (l’attuale
Santa Maria Capua Vetere) ed, in seguito, a Calatia (Maddaloni); nel
1972, a Palma Campania, è scoperto un villaggio dell’Età del
Bronzo, sepolto dall’eruzione del Somma-Vesuvio nota come “Pomici
di Avellino”. Appare necessario, dunque, un deciso ripensamento
della sezione, che, per la quantità dei materiali rinvenuti, è
dedicata non soltanto alla Preistoria, ma anche alla Protostoria: il
Museo Nazionale è, all’epoca, istituto gestito dalla
Soprintendenza e si configura come il primo punto di riferimento per
l’archeologia preistorica e protostorica della Campania. Mentre si
intensificano le ricerche in diverse aree della Regione (da
Mondragone a Piano di Sorrento, da Prata Sannita a Ciorlano), è
messo a punto il piano espositivo alla base dell’allestimento del
1995: la sezione della Preistoria e Protostoria è ospitata, su tre
livelli, negli ambienti attigui al Salone della Meridiana. I
materiali sono organizzati, così, secondo un duplice ordinamento:
nei due piani superiori è riproposta un’impostazione di tipo
cronologico dal Paleolitico all’età del Bronzo, mentre nel livello
inferiore l’esposizione segue un criterio topografico, dalle
testimonianze più antiche dei siti del Golfo di Napoli e
dell’entroterra, fino alle soglie della colonizzazione greca. La
fruibilità della sezione ha, però, un corso breve: problemi
gestionali comportano la chiusura delle sale, restituite oggi, dopo
oltre vent’anni, alla fruizione dei visitatori.
La sezione Preistoria e Protostoria del
MANN: il percorso espositivo parte, naturalmente, dall’epoca più
remota e, dunque, dal Paleolitico: in questo lunghissimo periodo (dai
450mila ai 10mila anni fa), le comunità nomadi iniziano ad
organizzarsi, vivendo di caccia e di raccolta, alloggiando in grotte
o in ricoveri realizzati con materiali deperibili. Le comunità
imparano ad usare le materie prime come utensili; nel Paleolitico
inferiore (da 450mila a 130mila anni fa), specie diverse dalla nostra
scheggiano la pietra per produrre strumenti e controllare il fuoco.
Intorno a 130mila anni fa inizia il Paleolitico medio, il cui attore
principale è l’uomo di Neanderthal: diventa sistematico l’uso di
caverne e dune prossime alla costa come luoghi abitativi, ma le
incursioni dei cacciatori si spingono abitualmente verso l’interno,
nelle zone montane e pedemontane e sui terrazzi fluviali. Il
Paleolitico superiore, che comincia circa 40mila anni fa, è segnato
dall’ascesa dell’Homo Sapiens. Le comunità vivono in campi base,
formati da strutture coperte e organizzate internamente; da qui
partono le battute di caccia; diventano frequenti, inoltre, le
attività simboliche, legate alla sfera spirituale: l’arte, il rito
funerario, l’uso di ornamenti personali. I reperti, presentati in
sezione, confermano queste complesse partizioni temporali: sono circa
un centinaio, infatti, le testimonianze delle cosiddette “industrie
litiche”, che producono manufatti in pietra per gestire diversi
aspetti della vita quotidiana. Sarà possibile ammirare, dunque,
strumenti litici (pietra e selce), con una faccia sbozzata (chopper)
o due (chopper-tool), risalenti al Paleolitico Inferiore e
provenienti da rilievi del Sannio e dell’Irpinia, dal Casertano,
dalle aree rivierasche del Cilento e da Capri. In questo segmento
espositivo, sono di grande importanza gli strumenti su ciottoli e
schegge provenienti dai terreni un tempo appartenuti alla tenuta
borbonica di Torcino, nel comune di Ciorlano: si tratta del più
antico insieme di reperti legati alla presenza umana nella Campania
interna. L’evoluzione dell’ingegno umano, ancora, è testimoniata
dai ritrovamenti del Paleolitico medio: sono presentate al pubblico
le punte per forare, le schegge per tagliare, i raschiatoi per
lavorare pelli e legno, con un nucleo di circa cinquanta reperti di
questa tipologia, mai visti prima e ritrovati nell’area dell’alto
casertano. Ancora, per quanto riguarda le attestazioni del
Paleolitico superiore, la sezione annovera lame, grattatoi adoperati
per operazioni di raschiatura e “bulini”, piccoli manufatti
appuntiti per incidere materiali organici: spiccano le lame e lamelle
recuperate nell’ex cava di calcare di Incaldana (Mondragone) ed i
reperti, in prestito dalla Fondazione “Ignazio Cerio” e ritrovati
nel corso dello scavo fatto nell’area del Quisisana a Capri.
Peculiare la dinamica del recupero nell’isola azzurra: ad inizio
Novecento, nel corso dei lavori per la costruzione del celebre Hotel
Quisisana, Ignazio Cerio indagò uno spesso strato argilloso, in cui
riconobbe materiali preistorici, che erano manufatti ricavati da
ciottoli di quarzite e selce, realizzati con tecniche piuttosto
rudimentali. Le ricerche successive, avvenute dopo la prima scoperta,
hanno portato alla luce le specie faunistiche presenti sull’isola
nel Paleolitico: a Capri vivevano animali disparati (ippopotami,
elefanti, rinoceronti, iene, conigli, cinghiali, buoi selvatici), in
modo del tutto analogo alla terraferma: questa simmetria lascia
supporre la continuità geologica dell’isola con la costa
sorrentina, tutt’uno con Capri durante la prima fase della
Preistoria.
Il Neolitico “Età nuova della
pietra”, questa fase della Preistoria si sviluppa tra 10mila e
5mila anni fa: con una sorta di rivoluzione rispetto allo stile di
vita precedente, le comunità iniziano a radicarsi nei territori,
adottando abitudini sedentarie e dedicandosi all’agricoltura ed
all’allevamento. La Campania, nel Neolitico, è popolata nelle aree
costiere, nelle isole, nelle valli del Sarno e del Sele, così come
lungo il corso dei fiumi Ofanto e Calore: una rete vasta, che ci ha
restituito testimonianze culturali di grande pregio. Per la prima
volta, l’uomo impara a trasformare un materiale presente in natura
in qualcosa con proprietà fisiche e chimiche differenti da quelle di
partenza, usando l’argilla, roccia sedimentaria facilmente
lavorabile. I vasai neolitici seguono un’attenta procedura per
realizzare i propri manufatti: modellano con le mani una massa più o
meno sferica (manipolazione diretta), la stendono attorno o dentro un
supporto precostituito (stampo) o creano cordoni avvolti a spirale,
poi raccordati e lisciati (colombino); garantiscono l’essiccazione
e la rifinitura dei materiali, ricorrendo a decorazioni, graffiti,
intagli ceramici. Fase finale è la cottura del vaso, da effettuare
in apposite strutture di combustione, allestite da questi singolari
artisti ante litteram in modo da raggiungere i 500°. Sono due i
principali contesti di riferimento dei cento reperti del Neolitico,
presenti nella sezione del MANN: innanzitutto La Starza, collina di
Ariano Irpino, che ha trasmesso una delle sequenze archeologiche più
complete dell’Italia meridionale preistorica e protostorica, in un
arco di tempo che va dal Neolitico antico all’Età del Ferro. Dalla
campagna di scavo, che ha avuto un notevole impulso con Italo Sgobbo
ed Ugo Rellini negli anni Venti del Novecento, sono emersi non
soltanto resti delle antiche capanne, ma soprattutto manufatti in
ceramica, selce ed ossidiana (questi ultimi materiali testimoniavano
lo sviluppo di attività di scambio con altre zone dell’Italia
Meridionale). Ancora, altro straordinario giacimento di reperti
neolitici nell’Italia meridionale è la Grotta delle Felci, a
Capri: esplorata per la prima volta da Ignazio Cerio nel 1882, ci ha
restituito manufatti di inestimabile valore. Tra questi, è
necessario ricordare, almeno, il famoso ciottolo con l’ocra rossa,
che testimonia la tendenza a decorare, pestando l’ocra ed usandola
per dare colore ai manufatti, così come le splendide ceramiche
tricromiche, in grado di testimoniare l’attitudine artistica degli
antichi abitanti della grotta. I materiali neolitici attestano,
inoltre, lo svolgimento di rituali connessi alla sfera funeraria: due
cavità nella parete nord dell’antro, infatti, ospitavano sepolcri
collettivi, associati a vasi destinati al consumo di cibo e bevande
ed a resti di offerte a base di carne. La Grotta delle Felci, con
ogni probabilità, rimase disabitata nell’Età del Ferro, mentre,
nell’Età del Bronzo medio, assunse funzioni abitative.
L’Eneolitico L’ultima fase del
Neolitico, denominata Eneolitico (età del rame), si estende,
all’incirca, dal III al II millennio a. C.: questo periodo, dalla
dubbia partizione temporale, si connota per un’ulteriore
organizzazione delle comunità umane e per importanti innovazioni
tecnologiche (applicazione della metallurgia alle attività
produttive, creazione di prototipi di aratro e ruota). Il culto dei
morti, in particolare, assume un ruolo sempre più importante per
l’uomo dell’Eneolitico: lo testimoniano i rinvenimenti
archeologici, che svelano necropoli realizzate in aree, costiere e
non, della Campania.
Diversi i siti che, nella nostra
Regione, hanno dischiuso importanti corredi funerari, conservati
nella sezione Preistoria e Protostoria del MANN: si tratta delle
necropoli di Spina- Gaudo (Paestum), Pontecagnano, Materdei, Piano di
Sorrento e Mirabella Eclano. Affascinante la scoperta del sito di
Spina-Gaudo: le tombe, della tipologia di “grotticelle artificiali”
scavate nella roccia, furono rinvenute nel 1943, in modo del tutto
fortuito, quando le truppe alleate aprirono una cava per estrarre
calcare e costruire un aeroporto; i vasi in ceramica, ritrovati nelle
celle nei pozzetti ed, in alcuni casi, rotti intenzionalmente, erano
destinati sia al singolo individuo, che al compimento di cerimonie
collettive. Altrettanto casuale lo svelamento delle due tombe di
Materdei, nel corso dello sterro di un giardino (1950): anche da
questo sito, come dalle altre necropoli, provengono ceramiche,
materiali litici e manufatti di rame. Peculiari le caratteristiche
della necropoli di Santa Maria delle Grazie a Mirabella Eclano,
secondo sepolcreto, per importanza, dopo il Gaudo: fra i tredici
complessi funerari individuati, si distingueva la tomba del Capo
Tribù, da cui provengono vasellame, utensili ed armi, oggi esposti
nella sezione del MANN. Risalgono agli anni Ottanta, i rinvenimenti a
Piano di Sorrento e Giugliano in Campania: se, nel sito costiero, il
piccolo cumulo di argilla, in corrispondenza della cella, connotava
il carattere eminente del defunto, a Giugliano il vasellame ritrovato
rimanda a contesti abititavi. Più recente (1992), lo scavo della
necropoli di Pontecagnano: undici le tombe incavate nel banco di
tufo, da cui sono emersi interessanti corredi funerari, che includono
anfore, vasi e materiali litici.
Il secondo livello
L’età del Bronzo L’Età del Bronzo
(2200/900 a. C.) mette a sistema la crescente complessità, già
estrinsecata nell’Eneolitico, delle comunità umane: nell’Età
del Bronzo si innestano le prime forme di élites sociali,
manifestate con il potere delle armi e con il controllo del bestiame
e delle zone minerarie. Dal punto di vista della produzione
artigianale e della gestione delle attività produttive, la vera
innovazione è legata alla comparsa del bronzo, che migliora, grazie
all’aggiunta di stagno, le proprietà del rame; si intensifica,
ancora, la produzione di armi ed oggetti ornamentali, così come
mutano le dinamiche degli insediamenti (gli abitati si riducono in
numero e divengono più estesi; le grotte non sono più adibite
soltanto a culto e riti funerari, ma sono anche punto di
stazionamento per attività stagionali). Cinque i contesti, che hanno
restituito le più importanti testimonianze dell’Età del Bronzo
nel Mezzogiorno d’Italia, in esposizione al MANN: Palma Campania,
Monte Camposauro, Ariano Irpino, Murgia Timone (in provincia di
Matera) e Vivara. Il sito di Palma Campania, individuato nel 1972
durante i lavori dell’autostrada Caserta-Salerno, permette di
ricostruire le caratteristiche di un abitato protostorico: gli scavi
hanno messo in luce quanto rimaneva di una capanna, devastata dal
fuoco e sepolta da uno spesso strato di detriti vulcanici prodotti
dall’eruzione delle pomici di Avellino. I materiali recuperati ed
oggi esposti al MANN sono prevalentemente vasi d’impasto, rinvenuti
ancora disposti con ordine, talora impilati o capovolti, forse
collocati in origine su piani d’appoggio distrutti dalle fiamme. La
particolare collocazione dei reperti e l’elevata omogeneità dei
pezzi suggeriscono che ci troviamo di fronte ad un deposito, legato a
una produzione non più limitata alla semplice sfera domestica, ma
ormai in qualche misura artigianale: la capanna, forse, apparteneva
ad un vasaio. I ritrovamenti di Monte Camposauro sono ascrivibili ad
una tipologia analoga a quella di Palma Campania: le prime scoperte,
realizzate da Giorgio Buchner negli anni Cinquanta, hanno svelato un
sito che, verosimilmente, era un accampamento con carattere
stagionale; i reperti, restituiti dallo scavo e presentati nella
sezione del MANN, sono utensili e vasellame per uso quotidiano ed
attività di sussistenza. Anche per lo studio dell’Età del Bronzo,
il sito della Starza di Ariano Irpino restituisce evidenze di
particolare importanza: le strutture domestiche, di dimensioni e
complessità contenute, hanno restituito reperti ancora chiaramente
legati al patrimonio formale di Palma Campania, cui si affiancano
progressivamente esemplari caratteristici del cosiddetto
“protoappenninico”; da segnalare, in esposizione al MANN, anche
la presenza di numerose ceramiche. Legato ai traffici marittimi che
collegavano la Grecia micenea all’Occidente, il centro di Vivara
era uno dei più vivaci nel Mezzogiorno d’Italia: le ricerche,
ancora una volta condotte da Giorgio Buchner, si concentrarono
sull’abitato di Punta d’Alaca, da cui provengono ceramiche di
tipologia protoappenninica ed appenninica. Spiccano, tra i reperti in
esposizione al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, i raffinati
prodotti di ceramica egea per gli oli profumati, i vasi per il
trasporto di derrate non locali, i manufatti metallici legati alle
attività di fusione svolte nell’isola; da non perdere,
nell’allestimento, le perline di pasta vitrea, gli spilloni in
bronzo e l’applique in lamina d’oro. I cosiddetti tokens ed i
prototipi di segni numerici e grafici testimoniano, infine, il
dinamismo della comunità vivarese tra 1550 e 1400 a.C. E’ Murgia
Timone, pianoro calcareo in provincia di Matera, a rappresentare un
altro importante tassello tra i siti del Mezzogiorno d’Italia
nell’Età del Bronzo: la scoperta si deve a Domenico Ridola (medico
e studioso di antichità materane) che, dal 1894, si dedicò
all’indagine dell’ampio terrazzo naturale, preziosa fonte
d’informazione sul popolamento preistorico e protostorico della
Basilicata. La necropoli di Murgia Timone consente non soltanto di
analizzare i costumi funerari e l’organizzazione sociale delle
comunità protostoriche locali, ma anche di approfondire le
caratteristiche dei materiali di corredo: in esposizione al MANN,
contenitori ceramici ed ornamenti in bronzo, ambra, osso e materiale
vetroso.
Il terzo livello
La media Età del Bronzo Si giunge,
dunque, al terzo livello della Sezione Preistoria e Protostoria del
MANN, negli ampi ambienti contigui al Salone della Meridiana: il
racconto continua con l’analisi dei tesori ritrovati nelle Grotte
di Pertosa e Zachito, entrambe in provincia di Salerno. L’antro di
Pertosa si apre nel fianco dei monti Alburni e si affaccia sulla
valle del fiume Tanagro, importante via naturale che collega la
Campania meridionale alla Basilicata: le prime ricerche al suo
interno furono condotte, separatamente, da Paolo Carucci e Giovanni
Patroni tra 1897 e 1898. Nonostante il lontano inizio dei primi
studi, soltanto tra il 2004 e il 2013 sono state compiute, in diverse
occasioni, indagini sistematiche. L’occupazione del sito, attestata
sin dal Neolitico finale, diventa significativa nel Bronzo medio,
quando gran parte dello spazio interno della grotta, sul cui fondo
scorreva un torrente, fu reso calpestabile grazie alla costruzione di
palafitte: in esposizione al MANN, vi sono le ceramiche, i fornelli,
gli utensili in osso, le macine e i pestelli che suggeriscono, in
questa fase, una vocazione prevalentemente “domestica” della
Grotta. L’antro aveva, però, anche una valenza religiosa, come
testimoniano oggetti metallici di vario tipo (armi, ornamenti,
utensili, risalenti anche alla prima Età del Ferro) e circa trecento
vasetti miniaturistici. Sempre Patroni e Carucci, alla fine del XIX
secolo, sono i primi a studiare la Grotta dello Zachito: la cavità
naturale, che sorge al riparo di una roccia ed ha una modesta
estensione interna, fu abitata, con ogni probabilità, già dalla
fase conclusiva del Neolitico e dell’Eneolitico.
Le attestazioni più significative
della presenza umana risalgono all’Età del Bronzo, grazie ad un
interessante nucleo di ceramiche esposte; ancora, alcuni utensili
confermano la frequentazione dell’antro anche nell’Età del
Ferro.
L’Età del Ferro Trait d’union fra
la conclusione dell’Età del Bronzo e la prima Età del Ferro
(900-730/20 a.C. circa) è la presenza, nell’allestimento
permanente del MANN, di un importante nucleo di reperti espressione
della “cultura villanoviana”: in questo periodo della
Protostoria, in diverse parti d’Italia (da Villanova di Castenaso,
in provincia di Bologna, alle Marche, dall’Etruria tirrenica alla
Campania,), si diffonde l’usanza di cremare i defunti, raccogliendo
i resti in un vaso biconico e realizzando diversi oggetti di corredo.
Tra i reperti di provenienza campana, come attestato nella sezione
del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, vi sono: ceramiche
(decorate con linee parallele incise “a pettine”, talvolta con
l’impiego di piccole bugne e l’aggiunta di borchie in bronzo);
utensili ed elementi di ornamento, che provano l’adozione di una
tecnica metallurgica molto avanzata; armi, che sottolineano il
prestigio della persona scomparsa. Tali manufatti sono stati
rinvenuti nei siti protostorici di Santa Maria Capua Vetere, Cuma e
Pontecagnano. Il momento di transizione fra l’Età del Bronzo e la
prima Età del Ferro si connota, ancora, come un periodo di
espansione delle comunità, in particolare nella Piana campana: da
Capua a Cuma, da Suessula (Acerra) a Calatia (Maddaloni) sono gettate
le basi per la fondazione delle città antiche; nella Valle del
Sarno, invece, tra Striano, San Marzano e San Valentino Torio, il
rinvenimento delle necropoli ha permesso di studiare non soltanto le
pratiche funerarie (dall’incinerazione, tipica della cultura
villanoviana, all’inumazione nelle “tombe a fossa”), ma anche
la dinamica degli insediamenti che gravitavano intorno al centro
maggiore di Longola-Poggiomarino. Nell’allestimento della sezione
del MANN, un valore particolare è attribuito ai preziosi reperti
provenienti da Suessula: l’antico sepolcreto, già dalla prima Età
del Ferro, assume una connotazione “ibrida”, fondendo elementi
villanoviani, mutuati dalla vicina Capua, con le caratteristiche
della cultura delle tombe a fossa; tra i materiali in mostra, vasi,
fibule, ornamenti, utensili, che attestano una crescente complessità
nella procedura di realizzazione dei manufatti. Altrettanto
straordinarie le testimonianze della necropoli di Calatia, sorta al
limite orientale della Piana Campana ed all’imbocco della Valle
Caudina: il sepolcreto, intono al 700 a.C., era sfarzosamente ornato
con gioielli in oro, argento, bronzo, osso e ambra; in esposizione,
oltre cento vasi d’impasto, argilla figulina e bronzo, così come
utensili riferibili al banchetto (tra questi, il lungo coltello e gli
spiedi). I contatti con l’ambiente ellenico costiero emergono,
ancora, dall’abbondanza dei manufatti di gusto orientale e delle
ceramiche di tipo greco, mentre diversi oggetti metallici rimandano
all’ambito villanoviano; al valore tradizionale della tessitura
come pratica domestica tipicamente femminile si riferisce, invece, un
rocchetto d’impasto.
Dopo la sezione “Preistoria e
Protostoria”: le sale dedicate ad Ischia. In occasione
dell’apertura della sezione Preistoria e Protostoria, sono
nuovamente fruibili le due sale dedicate ad Ischia: questi ambienti
rappresentano l’inizio di un percorso “topografico”, che, nel
piano di completamento delle collezioni del MANN, condurrà da
Pithecusae a Cuma, sino ad arrivare alla Napoli antica. In
esposizione, nell’approfondimento su Ischia, vi sono i reperti che
raccontano la storia degli insediamenti sull’isola, partendo dal
Neolitico e giungendo all’età arcaica (inizio VI sec. a.C.): è
riaperto ed aggiornato, dunque, il noto allestimento, in cui figura
anche la ricostruzione in scala 1:1 del cosiddetto “Edificio ovale
di Punta Chiarito”, espressione dello stanziamento greco ad Ischia.
I reperti in esposizione costituiscono un prestito concesso dalla
Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’Area
Metropolitana di Napoli.
COME DA COMUNICAZIONE RICEVUTA
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