Ventidue mesi. Quasi due anni. Questo è il tempo che passa dalla caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, all’elezione dell’Assemblea Costituente, il 2 giugno 1946.
Ventidue mesi durante i quali la
Seconda guerra mondiale prosegue nella sua spirale di morte e
distruzione, portando i propri focolai ovunque, distruggendo tutto
ciò che incontra e annullando fino all’ultimo briciolo di umanità.
Ventidue mesi durante i quali l’Italia raggiunge l’apice di un disorientamento totale. All’indomani della caduta di un regime che aveva sorvegliato e violentato il paese per oltre vent’anni, si ritrova sotto la minaccia continua dei bombardamenti e divisa tra repubblichini che si abbarbicano agli ultimi rantoli fascisti e partigiani. Una divisione ben netta sulle pagine dei libri scolastici, ma che nella realtà assume contorni ben più drammatici, in quanto si caratterizza – come sempre succede nella realtà delle cose – per grandi zone grigie in cui ex gerarchi fascisti e uomini e donne della resistenza si ritrovano a fianco, i primi nel tentativo di camuffarsi nel polverone e di rinnovarsi e i secondi a scindere, come direbbe Calvino, l’inferno da ciò che inferno non è.
Ventidue mesi durante i quali Eboli e la piana del Sele vivono i bombardamenti, la povertà più assoluta, la malaria, la perdita dei cari al fronte, la speranza infranta di un cambiamento repentino. In questo quadro avviene uno degli sbarchi più imponenti di tutta la Storia, lo sbarco di Salerno – un fronte di navi e uomini che riempie l’intera linea dell’orizzonte che si impone sul mare –. Quando l’avranno vista arrivare e coprire l’intero litorale, immagino lo sguardo di un viandante spaurito, quello di una donna che fugge, gli occhi terrorizzati di un bambino: - Eccola, la Storia!, avranno pensato almeno per un attimo, prima di tornare ai lori rifugi e alle loro corse.
Ed è quella la Storia, certo. Ma non solo.
C’è un sottotesto che spesso sfugge agli occhi dei non addetti ai lavori. Ed è un filo sotteso a tutti i grandi eventi che segnano un’epoca e che prende forma nelle innumerevoli riunioni della politica che si rimette in moto, in luoghi chiusi e spesso di fortuna, con discussioni più o meno importanti, ma soprattutto con dialoghi e confronti, a volte con diverbi accesi, rabbia e collera, pur sempre contenute nei recinti del confronto politico - quell’arte antica che nasceva nella Grecia di due millenni prima, quella stessa Grecia che il regime ardiva di rendere colonia -. Ma gli anticorpi della democrazia sono più forti di ogni guerra e di ogni fascismo, e con gli stessi metodi degli antichi greci, proprio con quelli, così ad Eboli e dovunque in Italia, si ricominciava a costruire il futuro. Un futuro – e una Storia – che passa inevitabilmente attraverso una burocrazia di verbali e resoconti, di fogli e dettati, di parole che rendono conto di un’assemblea, di una decisione presa e di una mancata, di una discussione e di una diffusa angoscia.
Per ironia del destino c’è una data che lega indissolubilmente i grandi eventi storici e quelli piccoli di questi ventidue mesi. L’8 Settembre 1943 Norman Lewis, un soldato britannico attivo nel Nord Africa, comincia a scrivere un diario nel quale annota il suo sbarco di Salerno (lo potete trovare in un celebre libro del catalogo Adelphi: Napoli ’44, Norman Lewis).
Quello stesso 8 settembre 1943 cominciano le riunioni e i verbali del Fronte Nazionale di Liberazione di Eboli raccolti in questo libro.
La Storia ha l’arduo compito di raccontare insieme l’8 settembre di Norman Lewis e l’8 Settembre di Mario Garuglieri, Francesco Desiderio, Angelo Vacca De Dominicis e tutti coloro che presero parte all’avventura del Comitato di Liberazione.
Da una parte l’epica della guerra, dall’altra la tenacia della politica. Non sempre l’ago della bilancia dei racconti storici pende in maniera equilibrata, anzi quasi mai.
Questo libro offre l’occasione di tornare a indagare un periodo storico cruciale per la nascita della nostra Repubblica e ci immerge dritti nella situazione del territorio che chiamiamo casa, la nostra città. Una Eboli distrutta e allo stremo, che nonostante le ferite ancora brucianti trova il modo per riorganizzarsi. E non c’è nessuna epica nei verbali nei quali si rende conto di porte trovate chiuse, di diverbi fra cittadini, di situazioni di disagio diffusa e dilagante. Ma è avanti alla ricerca di soluzioni, all’incedere incerto ma ostinato di uomini e donne intenti a risollevarsi, è di fronte alla voglia di guardare al futuro, alla nascente Repubblica, alle nuove possibilità di un futuro senza guerre, è in tutto l’inchiostro che scorre in questi verbali che per la prima volta leggiamo affiancati, salvati dal tritacarne dei dimenticatoi, e ora dinnanzi a noi più vivi che mai: è davanti a queste pagine che noi lettori, ancora per una volta, abbiamo la fortuna di esclamare: Eccola, la Storia! Con la consapevolezza che queste pagine e il loro tragico scenario possano ricordarci ancora di più la fortuna di essere nati in un luogo e in un tempo lontano da guerre. Una fortuna che va coltivata ogni giorno con le uniche armi possibili: lo studio e la conoscenza.
Il tempo si sa tende a sfumare i ricordi. Per questo un grande ringraziamento va a tutte quelle persone che con zelo e meticolosità spulciano negli archivi comunali e di Stato, rovistano tra documenti vecchi di amici e parenti, vanno per mercati e mercatini alla ricerca di pagine antiche che anche se ingiallite e sgualcite, ancora tanto hanno da raccontare. Ed è grazie a queste persone che tassello dopo tassello si è potuto ricostruire pezzi interi della nostra storia. Quando poi questa storia ci riguarda in primo piano, leggerla diventa anche emozionante. La molla che spinge l’autore di questo libro alla sua stesura è la stessa di sempre. Un amore smisurato e sempre vivo per la Storia. Quest’ultimo lavoro di Giuseppe Barra, oltre a possedere un’importanza storica notevole, è per noi ebolitani un’emozionante viaggio a ritroso nel tempo, in luoghi e fatti a noi cari e soprattutto tra persone che abbiamo conosciuto nella nostra infanzia, quando si era troppo piccoli per apprezzarne a fondo l’operosità, la rettitudine, le capacità intellettive, e tutti quei valori che col tempo stanno diventando sempre più rari.
La lettura de “Il Fronte di Liberazione Nazionale in Eboli” ci accompagna in un periodo purtroppo un po' “sgangherato” per la nostra Città, quello del dopoguerra e inizia proprio con il verbale del 9 ottobre 1943 quando si costituì il “Comitato esecutivo di Concentrazione antifascista sezione di Eboli”. Tra le sette persone elette per acclamazione spicca il nome di Raffele Romano Cesareo, che io conobbi negli anni 2000 quando ci incontrammo a Salerno, previa appuntamento, nel deposito della Sita per stipulare un contratto di fitto. Chiuso nel suo cappotto, viso e sguardo intelligente sotto quel cappello tipo “Borsalino”, tutto faceva trasparire mentre parlava, il suo aspetto e il suo animo di gentiluomo d’altri tempi. In quel momento preciso non sapevo di avere davanti uno degli uomini che aveva scritto pagine della storia della mia città, che ne era stato protagonista, sapevo solo che era il proprietario di un bellissimo palazzo storico nel centro antico di Eboli dove ho abitato per parecchi anni grazie a quel contratto stipulato in modo un po’ bizzarro ma duraturo. Ricordo che rimanemmo a parlare per un paio d’ore, la nostalgia per la sua Eboli saltava fuori ad ogni parola, ad ogni nuovo racconto, ad ogni sospiro. La vita matrimoniale lo aveva portato a vivere a Napoli dove era Presidente della Corte d’Appello, ma desiderava tornare a vivere e soprattutto a morire a Via Guglielmo Vacca nel Centro Antico di Eboli. Ricordo che mi narrò un episodio che mi è rimasto scolpito nel cuore in modo granitico come lo era il suo attaccamento alla città dove era nato. Mi raccontò che lui abitando a via Chiaia, spesso sotto il suo balcone vedeva passare le carrozzelle trainate dai cavalli. Ebbene al mattino presto lui soleva portarsi fuori al bacone, chiudeva gli occhi al transitare di queste e quel rumore di zoccoli lo riportava nella sua amata via Vacca in Eboli quando al mattino presto passavano le carrozzelle con le donne e gli uomini che andavano a lavorare “abbasc a chiana”. Solo in seguito ho saputo che quello che io conobbi era uno degli uomini che nel 1943 insieme ad altre persone si erano riunite per cercare di ridare a questa città martoriata dalla guerra, “un ordine politico morale ed amministrativo”, per essere portavoci delle necessità della popolazione stremata e sfinita dopo anni di guerra e soprattutto per collaborare con le Forze alleate condividendone i principi di libertà.
Tutto questo diviene immediatamente esecutivo già nel verbale del 18 ottobre ‘43 quando il Comitato stila una delibera da inviare al Comando Americano di Eboli nella quale si elencano le necessità di tutta la popolazione “privata” di beni utili e soprattutto “provata” da dolori e perdite care.
“Il Fronte di Liberazione Nazionale in Eboli” è un lavoro che ci restituisce la verità dei fatti, e ringrazio l’autore perché oggi più che mai, in quest’epoca che distoglie i giovani dal passato e li proietta sempre più verso un futuro tecnologico, abbiamo bisogno di persone che ci aiutano a salvare e a tramandare qualsiasi pezzo di storia che ci appartiene.
“Quando un anziano muore, è come una biblioteca che brucia”, lo lessi anni fa in una chiesa a Bellizzi ed è ancora più vero nel nostro caso, dove alcune persone hanno stilato dei verbali che il tempo ha conservato ed oggi ci ha restituito grazie anche a chi ne capiva l’importanza storica.
Una storia che rischiava di essere dimenticata, che le nuove generazioni non conoscono. Questo libro può stimolare in loro quel senso di appartenenza a una piccola-grande comunità, dove ognuno di noi è l'erede di qualcosa di più antico, di una storia che ci lega ai nostri nonni, ai nostri bisnonni.
Un tuffo nel passato, per certi aspetti, ma anche un lascito alle nuove generazioni, che potranno recuperare parte delle proprie radici, ed evitare che tutto questo, un domani, venga disperso.
Documenti che emergono così prepotentemente, dalle pagine, che ci fanno spesso ritornare ad una Eboli che non c'è più, tanto diversa da quella di oggi. La bellezza e la chiarezza dei fatti riportati arricchiscono ulteriormente il volume.
È stupendo leggere di una storia che ci appartiene, e di cui sentiamo di far parte pur non avendola vissuta.
Mi viene in mente il pensiero dello storico Marc Bloch, che difende e afferma l’importanza della storia locale, a volte dichiarata “di genere minore”.
Invece è proprio grazie a questi testi che possiamo riscoprire le nostre radici, la nostra identità, il lento trasformarsi di una comunità. Un testo che spero possa approdare nelle nostre scuole per poter dare l’opportunità a tanti giovani di conoscere quanto prima per cosa e grazie a chi oggi essi possono essere liberi e godere di molti benefici.
Grazie Giuseppe Barra per questo ulteriore e interessante lavoro.
Vitina Paesano
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